Credo che per un lavoratore il clima aziendale in cui opera sia spesso più importante del salario o dei benefit che riceve. Sebbene Aristotele riteneva che chi si guadagna da vivere non possa essere considerato libero, e la tradizione cristiana vedesse la fatica come una punizione per il peccato originale di Adamo ed Eva, per molte persone il lavoro rappresenta la chiave della propria identità.
La realizzazione di opere straordinarie è sicuramente più appagante dell’ozio aristotelico; infatti, filosofi dell’Ottocento come Rousseau e Diderot sostenevano che la vita lavorativa potesse essere centrale nella ricerca della felicità.
Nietzsche comprese che i nostri problemi si aggravano quando ci lasciamo sopraffare dall’ansia e dalla preoccupazione, e la sua ricetta è stata quella di accettare la sofferenza come una tappa necessaria per raggiungere obiettivi di valore. Soffrire, dice Nietzsche, è normale, e i progetti più appaganti passano attraverso un certo grado di tormento.
Nessuno può creare un’opera d’arte senza esperienza, e negli intervalli tra i primi fallimenti e il successo finale si fanno strada dispiaceri, ansia, invidia e umiliazione. Credere che il successo arrivi subito, e soprattutto che resti immutato per sempre, può portarci a fare passi indietro davanti alle sfide presenti e future.
Forse è davvero arrivato il momento di rimetterci in gioco, senza dare più nulla per scontato. Iniziamo a guardare alle opportunità che possono emergere dai momenti di crisi, senza lasciarci sopraffare dallo sconforto. Affrontiamo il presente senza mai mettere da parte valori come solidarietà, altruismo e partecipazione.
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