Pubblichiamo di seguito un interessante articolo, tratto dalle pagine internet di amblav.it, che si occupa degli abiti di lavoro; l'articolo nasce in seguito ad una recente sentenza della Corte di Cassazione.
Con questa sentenza viene ribadito che il datore di lavoro deve provvedere alla fornitura di dispositivi di protezione individuale adeguati e deve garantire la manutenzione periodica compresa la pulizia ed il lavaggio. La sentenza ribadisce che la disciplina legale non può essere derogata da normative collettive o da patti individuali e che, quindi, non poteva essere posto a carico dei lavoratori il lavaggio degli indumenti protettivi anche se previsto da un accordo interno dietro compenso.
Nel ricorso si assiste al tentativo di dimostrare che gli indumenti rientranti nell’accordo interno non costituiscono dispositivo di protezione individuale ma solamente indumento protettivo degli abiti personali.
La Corte di Cassazione respinge tale tesi sostenendo che nella sentenza impugnata era già stato dimostrato che gli indumenti erano inequivocabilmente dispositivi di protezione individuale.
Su questo aspetto riportiamo un commento di Virginio Galimberti, presidente della sottocommissione DPI dell’UNI.
Galimberti: “Ancora una volta è dovuta intervenire la Corte di Cassazione per chiarire al datore di lavoro la differenza gestionale che esiste tra l’indumento da lavoro vero e proprio e l'indumento da lavoro destinato a proteggere il lavoratore da un rischio (sia esso minore o rischio di morte o di lesioni a carattere permanente) e che obbligatoriamente deve essere classificato come Dispositivo di Protezione Individuale (DPI).
Visti i numerosissimi episodi che continuano ad evidenziarsi nel tempo, rimango meravigliato della disinformazione che regna nella categoria dei datori di lavoro oltretutto anche appartenenti a realtà lavorative non di poco conto.
Tale disinformazione, oltre alla mancanza di cultura specifica sull’argomento e la scarsa voglia di farsela, potrebbe essere imputabile anche alla legislazione vigente in cui ricorre spesso la distinzione tra “indumento da lavoro” e “indumento di protezione (o protettivo)” o “Dispositivo di Protezione Individuale (DPI)”.
In particolare faccio riferimento a diversi punti citati nel D.Lgs 81/2008 quali, ad esempio quello riportato nell’ 239 (Titolo IX Sostanze pericolose – Capo II Cancerogeni e mutageni) dove si legge:
d) la necessità di indossare e impiegare indumenti di lavoro e protettivi e dispositivi individuali di protezione ed il loro corretto impiego.
E ancora, sempre al titolo IX (Sostanze pericolose – Capo III Protezione dai rischi connessi all’esposizione all’amianto) dove viene riportato:
f) siano messi a disposizione dei lavoratori adeguati indumenti di lavoro o adeguati dispositivi di protezione individuale;
g) detti indumenti di lavoro o protettivi restino all’interno dell’impresa. Essi possono essere trasportati all’esterno solo per il lavaggio in lavanderie attrezzate per questo tipo di operazioni, in contenitori chiusi, qualora l’impresa stessa non vi provveda o in caso di utilizzazione di indumenti monouso per lo smaltimento secondo le vigenti disposizioni;
h) gli indumenti di lavoro o protettivi siano riposti in un luogo separato da quello destinato agli abiti civili;
Per quanto riguarda i DPI, già a fronte del D.Lgs 626/94, a causa dei parecchi dubbi interpretativi in merito alla manutenzione degli indumenti di lavoro quando sono destinati ad assolvere ad una funzione di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, è stata emanata la circolare esplicativa n.34 del 29 aprile 1999 del Ministero del lavoro e della previdenza sociale (Circolare rafforzativa dei contenuti dell’art. 43 dello stesso decreto – oggi art. 77 del D.Lgs 81/2008 di pari oggetto)”.
FONTE: amblav.it
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