venerdì 18 giugno 2010

Lo spettacolo e i limiti della derogabilità





Come abbiamo visto nel precedente articolo, il palcoscenico è l’ambiente più a rischio per la sicurezza di tutto il personale artistico, tecnico ed ospite che opera al suo interno. L'Ing. Bruno Scagliola, Rspp del Teatro Regio di Torino, ha osservato che attualmente non esiste una normativa specifica in merito alla sicurezza in palcoscenico. L' unica legge specifica e' quella del D.P.R. 322 del 20 marzo 1956 riferito alle norme per la prevenzione infortuni nell’industria della cinematografia. Scagliola pone l'attenzione su alcuni rischi, legati al lavoro in palcoscenico, che presentano l'impossibilità di essere eliminati:

• non si può sostare sotto carichi sospesi;
• quando un dislivello supera 100 - 200 cm. di altezza rispetto al piano di calpestio occorre mettere i parapetti di protezione;
• la zona di lavoro deve essere ampia, ben illuminata e priva di ostacoli;
• i ponti e i mezzi di sollevamento sono “attrezzature” di scena e non sono abilitati per il trasporto delle persone in quanto non sono né ascensori, né montacarichi;
• sul palcoscenico è vietato fumare e usare fiamme libere.

Di recente si è aperta una seria riflessione sulla complessa questione
delle deroghe e quello che viene alla luce è appunto l'impossibilità
di adottare tutte le misure alternative e/o compensative per mettersi
in regola con la prescrizione normativa.
Come vedremo, invece, sul tema della prevenzione incendi il Legislatore ha fornito precise regole riguardanti le deroghe (art. 6 D.M. 19 agosto 1996) che vengono rimesse, di volta in volta, alla valutazione della Direzione Regionale dei Vigili del Fuoco. La norma verticale per la prevenzione incendi è quella del D.M. 19 agosto 1996 quale "approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di intrattenimento e di pubblico spettacolo".
Per tutto quello che non riguarda la prevenzione incendi il Legislatore rimette interamente ai Direttori dei locali di pubblico spettacolo, quindi anche i teatri, il compito di trovare misure alternative che fanno seguito ad una attenta valutazione dei rischi.
A complicare ulteriormente le cose vi è la mancanza di un coordinamento nazionale di tutti i Teatri i quali si trovano a dover valutare singolarmente questioni e rischi comuni a tutti.
A questo proposito le Organizzazioni Sindacali e l'Anfols ( la parte datoriale) avevano previsto già nel 2004, nel contratto collettivo nazionale di lavoro dei teatri stabili pubblici e dei teatri gestiti dall'Eti (ultimamente inserito tra gli Enti inutili dall'ultima manovra correttiva del Governo Berlusconi), un Protocollo aggiuntivo in tema di sicurezza e salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Si annunciava la creazione di un Organismo paritetico nazionale e di Organismi paritetici territoriali.
Tra i compiti di questi Organismi vi era quello di definire linee guida e posizioni comuni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, valutando eventuali esperienze e intese già operanti in ambito settoriale.
Purtroppo questo progetto non è mai partito.
Ho notizia che alcuni teatri, tra cui il Comunale di Bologna e il Regio di Torino, hanno iniziato un lavoro di coordinamento per trovare appunto una linea comune sulle questioni quì trattate.

Del delicato tema delle Deroghe in teatro si è occupato il Prof. Avv. Alberto Cocchi, Professore a contratto di Legislazione delle costruzioni e della sicurezza presso la Facoltà di Ingegneria dell'Università degli studi di Bologna nonchè Rspp del Teatro Comunale di Bologna. Di seguito pubblicherò il suo lavoro che si pone in continuità con quanto trattato dall' Ing. Scagliola e ne approfondisce in maniera egregia le parti relative all'ambito penale.
Ringrazio l' Avv. Cocchi per la disponibilità avuta nel concedermi la pubblicazione del suo lavoro.

Giuseppe Patti





Alla luce delle relazioni presentate durante il seminario “Work in Show” tenutosi a Bologna lo scorso 24 febbraio e visto che in quella sede vi si è fatto cenno in più occasioni, credo possa essere opportuna una brevissima precisazione sui limiti di derogabilità alla normativa in materia antinfortunistica. Sappiamo bene infatti come non di rado nell’ambito teatrale e soprattutto sul versante della sicurezza in palcoscenico si avverta una obiettiva difficoltà nel dover dar seguito a previsioni normative ideate dal Legislatore nella prospettiva della produzione industriale e dei cantieri edili.

Distinguerei quindi anzitutto la deroga dalla adozione tout court di misure alternative e/o compensative a fronte dalla impossibilità ad adempiere in modo puntuale alla prescrizione normativa.

Per quanto concerne la deroga in senso proprio, questa, vertendo in ambito penale, deve anzitutto essere espressamente prevista dalla legge (ubi lex voluti dixit). In secondo luogo, ove la facoltà di derogare alla disposizione puntuale sia espressamente prevista, la sussistenza nel caso concreto dei presupposti che la consentono (an) e le misure compensative da adottarsi (quodmodo) non sono in genere lasciate (esclusivamente) alla libera valutazione del destinatario del precetto, bensì sono (anche) rimesse alla valutazione dell’Ente di volta in volta tenuto alla vigilanza sul rispetto del precetto medesimo o del Ministero competente, ovvero, in alternativa, sono preventivamente e tassativamente determinate dalla legge.

Per le disposizioni in materia di igiene e sicurezza sul lavoro ciò avviene in talune ipotesi, sia sotto la forma della deroga concessa dall’Organo di vigilanza o dal Ministero competente (ad es.: artt. 205, commi 1 e 2, e 228, comma 3 del D.Lgs. 81/08), sia sotto la forma della deroga con condizioni (an e quodmodo) predeterminate dalla legge (ad es.: artt. 113, comma 10, 140, comma 4, Allegato VI punto 4.2 e Allegato XVIII punto 2.1.3.3 del D.Lgs. 81/08).

Tuttavia, nell’ottica del principio di valutazione del rischio di cui dirò, oggi talvolta il Legislatore consente la deroga senza predeterminare tassativamente né i casi (an), né le misure compensative da adottare (quodmodo), né rinviare alla loro individuazione ad un Ente terzo, bensì rimettendone la scelta alla valutazione del datore di lavoro. Ciò avviene, ad esempio e per quanto ci può riguardare, in tema di lavori sotto carichi sospesi in base al punto 3.1.5. dell’Allegato VI del D.Lgs. 81/08.

In materia di prevenzione incendi, materia che investe ovviamente anche la tutela dei lavoratori, la deroga segue una precisa procedura (art. 6 D.P.R. 12 gennaio 1998, n. 37), è praticabile solo nei casi stabiliti dalla legge (an) e prevede l’adozione di misure compensative (quodmodo) la cui idoneità è rimessa alla valutazione della Direzione Regionale VV.F.. Per quanto concerne in particolare i locali di pubblico spettacolo, l’articolo 6 del D.M. 19 agosto 1996 espressamente prevede che qualora in ragione di particolari esigenze di ordine tecnico o funzionale non fosse possibile il rispetto di qualcuna delle prescrizioni contenute nella relativa regola tecnica, occorrerà procedere in deroga sulla base della medesima procedura sopra citata.

Ecco pertanto che fuori dai casi in cui la deroga è consentita (e disciplinata) dalla legge, non dovrebbe esservi spazio per la disapplicazione di norme puntuali e per la sostituzione di norme prescritte con misure alternative e/o compensative, a sicurezza equivalente, a prescindere dalla loro efficacia nel raggiungimento dell’obiettivo sotteso alla norma.

Come noto, nell’ambito della prevenzione incendi e, più in generale, nell’ambito di tutta la legislazione in materia di costruzioni, negli ultimi anni si sta cercando di introdurre un approccio normativo tendenzialmente prestazionale, con definizione normativa delle sole prestazioni attese e delle modalità di calcolo per la verifica della efficacia delle misure adottate, con conseguente relativa libertà per il progettista, comunque vincolato ad analisi di tipo quantitativo,
nella individuazione delle misure atte a raggiungere tali prestazioni (quodmodo). La questione non va però a mio avviso particolarmente enfatizzata, essendo il nostro Paese ancora saldamente ancorato ad una tradizione di norme prescritte puntuali (nello specifico: regole tecniche di prevenzione incendi), peraltro più idonee a garantire standard di sicurezza minimi generalizzati. Pertanto, quando oggi ci confrontiamo con una disciplina definita prestazionale, spesso si tratta in realtà di una disciplina semiprestazionale, nella quale convivono obiettivi prestazionali e prescrizioni puntuali intermedie

Ad ogni modo, nella materia di prevenzione incendi, dopo una fuga in avanti operata con la emanazione delle norme tecniche per le costruzioni nella loro prima versione (D.M. 14 settembre 2005), che appunto aveva introdotto e generalizzato l’approccio prestazionale, con la novella del 2008 (D.M. 14 gennaio 2008) e, prima ancora, con i Decreti Ministeriali 9 marzo 2007 e 9 maggio 2007 l’approccio prestazionale (peraltro in questo caso puro) è stato mantenuto (in via facoltativa) esclusivamente per quelle attività per le quali non dovesse esistere una regola tecnica, ossia prescrizioni puntuali, ovvero, appunto, per le quali sia necessario procedere in deroga per la sussistenza di vincoli. Il tutto però sempre sotto il controllo della Direzione Regionale VV.F.. Peraltro, come giustamente ricordava l’Ing. Felice Monaco nel corso del seminario, per ora l’approccio prestazionale all’antincendio (fire engineering) non ha riscosso particolare successo a causa della sostanziale scarsa affidabilità, per varie ragioni, degli esiti dei calcoli che dovrebbero dimostrare la bontà delle misure adottate per il raggiungimento delle prestazioni attese.

Comunque, ai nostri fini possiamo dire che anche nella normativa attuale in materia di prevenzione incendi, ove esiste la norma puntuale essa rimane ed è solo ove tale norma non esiste, o nei casi in cui è consentito/necessario derogarvi che può intervenire, ad adiuvandum, nella normale procedura in deroga ex art. 6 del D.P.R. 12 Gennaio 1998, n. 37, l’approccio prestazionale.

Per quanto concerne la normativa in materia di igiene e sicurezza sul lavoro, va detto che con il D.Lgs. 626/94 e la conseguente formale introduzione nel nostro ordinamento del principio della valutazione del rischio la disciplina ha progressivamente assunto una caratterizzazione marcatamente finalistica o, se si vuole, prestazionale. Il principio della valutazione del rischio non si esaurisce infatti nel ben noto corrispondente obbligo documentale posto a carico del datore di lavoro, ma si esprime anche, se non soprattutto, nella sempre più marcata flessibilità dei precetti (quodmodo), sempre più spesso caratterizzati dalla adattabilità al caso concreto mediante la richiesta di idoneità, adeguatezza e sufficienza della misure adottate ai fini della tutela dei lavoratori.

Invero, come giustamente ha ricordato l’RLS della Fondazione Teatro Comunale di Bologna Giuseppe Patti nel suo intervento al seminario, il principio della valutazione del rischio era (ed è) già rinvenibile nel nostro ordinamento nell’obbligo (rectius:obbligazione) generale di sicurezza imposto al datore di lavoro ex. Art. 2087 del codice civile. Tuttavia tale previsione, senz’altro idonea a generare una posizione di garanzia estremamente ampia per il datore di lavoro, non poteva (e non può), nei fatti, avere efficacia preventiva non essendo la sua violazione di per sé sanzionabile.

Sotto il profilo della definizione dei precetti di prevenzione, già diverse disposizioni dei DD.P.R. 547/55 e 303/56 contenevano in realtà elementi valutativi di tipo qualitativo (idoneità, sufficienza ed adeguatezza), implicitamente rinviando, ove disponibile, alla relativa normazione tecnica, ma queste rappresentavano pur sempre delle eccezioni rispetto ad un quadro nel quale prevalevano disposizioni puntuali soggette, al più, a valutazioni di tipo quantitativo (misurazione strumentale del fattore di rischio).

Oggi come detto, il quadro è ampiamente mutato proprio in virtù dell’affermarsi del principio di valutazione del rischio anche e soprattutto come approccio alla tecnica normativa. Al punto che anche nella disciplina, ad esempio, dei rischi correlati agli agenti fisici, di per sé tipicamente misurabili, esistono disposizioni che implicano valutazioni qualitative pure. Ad esempio, per il rumore, i rischi per la sicurezza da interazione con segnali di avvertimento, ma anche la scelta dei periodi di riferimento dell’esposizione per la rappresentazione del fenomeno sotto il profilo degli effetti dell’udito.

Personalmente, ho sempre criticato questo approccio in considerazione del fatto che, stante la natura penale delle violazioni nella materia de qua, si finisce per produrre fattispecie di mera condotta del contenuto indeterminato (rectius: non preventivamente e tassativamente determinato) e/o soggette ad integrazioni da parte di fonti extrapenali e, spesso, persino extralegislative. Ad ogni modo, come detto, questo è l’approccio finalistico, se volete prestazionale, attuale. E posto che (e, sottolineo, fin tanto che) la prestazione attesa è in via immediata e diretta la tutela della salute, della sicurezza ed, in definitiva, della vita delle persone, può anche essere che i principi costituzionali di tassatività, determinatezza del precetto e riserva di legge debbano subire qualche compressione, salvo poi capire sino a che punto ciò possa accadere e, paradossalmente, sino a che punto la flessibilità del precetto sia in grado di garantire realmente i lavoratori al fronte di valutazioni del rischio errate mai sottoposte al vaglio dell’Organo di vigilanza….

Comunque, per quanto attiene al tema in questione, malgrado la citata evoluzione, tutt’oggi si può parlare di (e intervenire con) misure alternative e/o compensative solo laddove la norma espressamente consenta la deroga. Dove poi la norma si limiti ad esigere già in prima battuta la adeguatezza, sufficienza ed idoneità delle misure adottate, è chiaro che non si può nemmeno parlare di misure alternative o compensative, posto che la norma stessa lascia di per sé libero il datore di lavoro di definire quali misure adottare, purchè, appunto, siano adeguate, sufficienti ed idonee… Fuori da queste ipotesi, non è possibile adottare misure diverse da quelle previste dal precetto (o dalle fonti integrative): questo proprio anche in virtù della natura penale, quindi inderogabile (ubi lex noluit tacuit), delle disposizioni in questione.

Detto questo, è un fatto che, come giustamente sottolineato al seminario dall’Ing. Giovanni Libener, in teatro e segnatamente in palcoscenico (ma non solo) vi siano talune disposizioni antinfortunistiche alle quali non pare possibile dare piena attuazione e che quindi richiedono necessariamente l’adozione di misure alternative e/o compensative. Questo, abbiamo detto, trova già in diverse ipotesi un riscontro positivo nella norma stessa, concepita in termini prestazionali o alla quale è consentito derogare, ma non è detto che sia sempre così.

In questi casi, la impossibilità di dar seguito alla norma prescrittiva inderogabile può dipendere dalla impossibilità tecnica della adozione della misura prescritta o dalla incompatibilità della stessa con le esigenze sceniche…. E qui si apre la ben nota questione del rapporto fra esigenze di sicurezza ed esigenze sceniche, sul quale chiaramente non entro, limitandomi a rimarcare che, se da un lato nessuna esigenza scenica giustificherà mai la mancata adozione di una misura di sicurezza se da ciò poi deriva una lesione ad un lavoratore, dall’altro nessuno (nemmeno un Pubblico Ministero) si immaginerebbe andando a teatro di vedere i cantanti ed il coro cantare con un caschetto antinfortunistico in testa, o di trovare una balaustra davanti al golfo mistico, eppure….

E’ chiaro che comunque, allorché si debba derogare, che sia consentito o meno farlo, ciò non avviene senza adottare misure alternative o compensative, possibilmente misure a sicurezza equivalente. Il problema però, a mio avviso, è a monte: se infatti esistono prescrizioni inderogabili, qualsiasi misura che venga adottata che sia diversa da quella prescritta, a prescindere dalla motivazione, è valida (ovviamente di fatto e non certo per l’Organo di vigilanza) solo fin tanto che è efficace. Nel momento in cui dovesse rivelarsi inefficace, per qualsiasi motivo, rispetto all’evento lesivo sussisterebbe colpa specifica, con tutto ciò che ne consegue sotto il profilo della responsabilità…e ciò, appunto, malgrado l’impraticabilità di talune disposizioni sia sotto gli occhi di tutti, addetti nel settore e non.

Forse, ripeto, stiamo parlando di situazioni marginali. Forse saranno sempre più marginali proprio nell’ottica del principio di valutazione dei rischi, ma vorrei che fossimo tutti ben consapevoli che, ad oggi, non tutto è derogabile e che laddove in questi casi la deroga di fatto si dovesse imporre per esigenze tecniche o sceniche minime, connaturate al fatto stesso di essere teatro, in mancanza di una presa d’atto di ciò da parte del Legislatore la deroga non è ammessa.

Dopodiché, che di mera derogabilità si debba trattare, o della elaborazione di una disciplina ad hoc in grado di definire anche il quodmodo, come avviene per il rumore proprio per il settore della musica ex art. 198 D.Lgs. 81/08 dipende dalla reale (e sottolineo reale) entità della questione e forse il punto di partenza per un ragionamento in proposito dovrebbe consistere proprio in una attenta analisi di quei casi che si assume richiedano necessariamente una deroga…

Buon lavoro!


Alberto Cocchi

3 commenti:

pineck ha detto...

Mi sono state molto utili le vostre grazie. Ma volevo sapere,se non si rispettano le norme,un organo della vigilanza che sanzione darebbe??

Giuseppe Patti ha detto...

Grazie per l'apprezzamento!
Le sanzioni sono previste al Cap. IV "Disposizioni penali" Sez. I Sanzioni: dall'art. 55 all'art. 60 del D.Lgs. 81/08 (trova il link a destra del Blog). Per quanto riguarda la prevenzione incendi esiste una norma verticale che riguarda i teatri ed i locali di pubblico spettacolo. Ci arriva da un motore di ricerca. La normativa è nel DM 19 agosto 1996.
Cordialmente Giuseppe Patti

Giuseppe Patti ha detto...

Guardi anche il Titolo II Capo II art. 68 "sanzioni per il datore di lavoro" del D.Lgs. 81/08