venerdì 28 agosto 2009

NUOVA STAGIONE: QUALE CLIMA AZIENDALE CI ASPETTA?

Crisi del settore spettacolo e impatti sul clima organizzativo Le prospettive per il futuro prossimo del settore dello spettacolo si presentano critiche. Da tempo, numerosi lavoratori manifestano una crescente preoccupazione per la propria stabilità occupazionale, generando un clima aziendale teso e poco sereno. L’emergenza in atto coinvolge circa 40.000 professionisti dello spettacolo e affonda le proprie radici nei rilevanti tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS) stabiliti dall’ultima legge finanziaria. Il FUS, istituito con la legge 30 aprile 1985, n. 163, rappresenta il principale strumento di intervento pubblico a sostegno delle attività di cinema, teatro, musica, danza, circo e spettacolo viaggiante, nonché per la promozione di manifestazioni culturali di rilievo nazionale, in Italia e all’estero. Il finanziamento del FUS avviene annualmente attraverso la legge finanziaria e viene ripartito con decreto del Ministero per i beni e le attività culturali. Per l’anno considerato, il finanziamento previsto era superiore ai 500 milioni di euro, ma il valore effettivamente stanziato si è attestato su 398.036.000 euro, segnando una riduzione del 20%. Le risorse sono state così ripartite: 47,5% agli enti lirici, 18,5% alle attività cinematografiche, 16,3% alla prosa, 13,7% alla musica, 2,3% alla danza, 0,2% al circo. Nel 2011, si prevede che il settore possa contare su un’ulteriore riduzione delle risorse, con appena 307 milioni di euro disponibili, pari allo 0,20% del PIL nazionale. A titolo di confronto, Francia e Germania destinano alla cultura circa l’1,5% del PIL. I Sovrintendenti delle 13 Fondazioni Lirico-Sinfoniche hanno segnalato il concreto rischio di dover cancellare spettacoli già programmati, con conseguenti difficoltà nel pagamento degli stipendi ai circa 7000 dipendenti, comprese masse artistiche e personale tecnico-amministrativo. Particolarmente esposta è la posizione dei lavoratori precari, che in caso di riduzioni di personale rischiano di essere i primi esclusi. Paradossalmente, tali tagli si registrano in un contesto di crescente domanda culturale. Secondo i dati, la partecipazione a eventi teatrali è aumentata del 23,5% nel periodo 1997–2007. Solo nel 2007, la spesa culturale delle famiglie italiane ha raggiunto i 61,5 miliardi di euro (+2,3% rispetto all’anno precedente), con un incremento del 7,66% nella sola frequentazione teatrale. Questa discrepanza tra domanda culturale e riduzione dell’offerta contribuisce ad alimentare un clima organizzativo negativo. Il clima organizzativo può essere definito come l’insieme delle percezioni condivise dai lavoratori riguardo all’ambiente lavorativo. Esso influisce sull’andamento delle attività, sulla qualità dei rapporti interpersonali e sulla motivazione individuale. Un clima positivo favorisce la coesione interna e il raggiungimento degli obiettivi aziendali; al contrario, un clima teso può ostacolare il funzionamento dell’organizzazione. Alla precarietà economica si aggiunge, per molti lavoratori, un senso di svalutazione professionale, derivante dalla percezione, alimentata da alcuni canali mediatici, di essere parte di un sistema considerato inefficiente o "inutile". In questo contesto, l’annullamento delle attività in cartellone, pur in presenza di obblighi retributivi, alimenta ulteriormente il senso di frustrazione e inutilità. Come affrontare tale scenario? Le soluzioni possibili sono molteplici e dipendono da variabili individuali e collettive, tra cui l’orientamento sociale, politico o culturale. Tuttavia, un punto fermo resta: quando le criticità lavorative derivano da fattori esterni al controllo individuale, la sensazione di impotenza può risultare paralizzante. Molti lavoratori ripongono aspettative elevate nella dimensione lavorativa, attribuendole un ruolo centrale nella costruzione della propria identità e nella realizzazione personale. Questa visione, tuttavia, non è sempre stata condivisa nel corso della storia. Aristotele, ad esempio, escludeva dalla libertà coloro che dovevano guadagnarsi da vivere; la dottrina cristiana ha a lungo considerato il lavoro come pena conseguente al peccato originale. Solo con il Rinascimento e, successivamente, con il pensiero borghese dell’Ottocento (Rousseau, Diderot), il lavoro è stato rivalutato come strumento di crescita e felicità. In un contesto così complesso, può essere utile richiamarsi al pensiero di Nietzsche, secondo cui la sofferenza non è solo inevitabile, ma necessaria per il raggiungimento di traguardi significativi. Egli sostiene che i progetti più ambiziosi richiedano inevitabilmente il superamento di ostacoli, insuccessi e stati emotivi negativi come ansia o umiliazione. L’illusione di un successo immediato e duraturo può portare a un atteggiamento rinunciatario di fronte alle difficoltà. Conclusione Il momento storico impone una riflessione collettiva sulla possibilità di rimettersi in gioco, valorizzando principi fondamentali come solidarietà, partecipazione e altruismo. In un settore dove la creatività e l’impegno individuale sono essenziali, è cruciale preservare un clima organizzativo positivo e una percezione del lavoro come ambito generativo di senso, nonostante le difficoltà.

2 commenti:

Francesco Cuccuini ha detto...

Saluti

:-)

Lorenzo ha detto...

Ottimo post Giuseppe, interessante la riflessione di Nietzche che aveva colto nel segno. Buona stagione lavorativa