Il mestiere del musicista e i rischi alla salute
Di Giuseppe Patti
Il teatro spalanca le porte ad un mondo per certi versi misterioso
e spesso non è facile pensare che, in alcuni casi, anche questo mondo può
determinare situazioni di pericolo verso chi ci lavora. Infatti, se ci poniamo dinanzi ad una rappresentazione
operistica o sinfonica, sforzandoci di osservare con distacco quanto ci viene
proposto, non possiamo non cogliere la fusione di attività tecniche ed
artistiche altamente specialistiche ed assai differenti fra loro. Se pensassimo
di osservare questa realtà focalizzandoci esclusivamente sul prodotto finale
non saremmo in grado di cogliere il nesso fra questo e le reali ricadute legate
alla sua messa in opera, ossia ai rischi che concretamente comporta per quanti
concorrono alla sua realizzazione.
Quando mi è stato chiesto di scrivere un articolo per
questa rivista ammetto che il mio primo pensiero è stato quello di correre il
rischio di addentrarmi in un terreno minato visto che, essendo il mio campo di
interesse quello della salute e sicurezza dei lavoratori, non potevo esimermi di
scrivere qualcosa che raccontasse, ai non addetti ai lavori, le connessioni tra
lavoratori del settore musicale e rischi alla salute. Invero, e questo si
scoprirà addentrandoci nell’articolo, importanti passi avanti sono stati fatti
e alcune Fondazioni, come il Teatro alla Scala di Milano, hanno messo in
funzione alcune misure di prevenzione tra cui l’apertura di un ambulatorio fisioterapico
a disposizione dei lavoratori.
La ricerca dei rischi nel settore musicale ha radice
profonde e ci porta indietro fino al 1700 anno in cui, con il De Morbis
Artificium, Bernardino Ramazzini fa un esame accurato delle malattie dei
lavoratori distinguendo due fattori principali di rischio di cui un primo
legato alla qualità delle sostanze manipolate ed un secondo nei movimenti
compiuti e nelle posizioni mantenute per un tempo prolungato. Ramazzini,
suddividendo i lavoratori in gruppi definiti, studia il lavoro dei “suonatori”
annoverandoli nella categoria di “quelli che si ammalano per cause quali la
posizione e i movimenti del corpo”. L’associazione tra fattore di rischio e
danno o malattia studiata da Ramazzini nasce come sostanziale “valutazione del
rischio” in senso epidemiologico da intuizioni e deduzioni logiche che, seppur
fondate sulle migliori conoscenze cliniche e sociologiche del tempo, anticipano
gli studi epidemiologici di tipo occupazionale del presente. Ai suoi studi
attribuiamo l’ormai famosa deduzione che “è più conveniente prevenire le
malattie piuttosto che curarle”. Ramazzini fu il primo a teorizzare compiutamente
che rimuovere o mitigare quelle cause di malattia poteva essere un vantaggio oltre
a rappresentare un dovere sociale.
Di
cosa si ammalano i musicisti: considerazioni scientifiche di alcuni medici
tedeschi.
La correttezza del portamento del rachide è alla base della fine esecuzione e si ottiene solo con una presa di coscienza di sé e con l’allenamento quasi di tipo agonistico; il musicista infatti ha necessità di mantenere il rachide eretto in modo tonico per consentire di “liberare le spalle”.
Secondo Gerard Schnack, medico sportivo e specialista in
traumatologia chirurgica, è fondamentale correggere il comportamento durante il
lavoro e per far questo è essenziale che il medico segua assiduamente il
musicista, così come un medico sportivo segue un atleta, attraverso un
programma di training intensivo e mirato. Molti medici che hanno in cura i
professori d’orchestra prediligono la terapia passiva ricorrendo a pillole,
iniezioni, massaggi fino ad arrivare alla messa a riposo della zona dolorante.
Queste misure, seppur in un primo momento hanno un effetto benefico, non
risolvono il problema. L’indebolimento delle fasce muscolari di sostegno, che
si trovano soprattutto nella regione scapolare, porta il violinista a mettere
sotto sforzo le fasce muscolari che interessano l’articolazione della spalla
che con il tempo si ispessiscono e perdono elasticità, arrivando addirittura a
spostarsi verso l’ascella. Lo sbilanciamento muscolare, che deriva dalla
posizione anomala assunta dal musicista negli anni, crea come effetto secondario
una serie di lesioni della cartilagine. Anche l’avambraccio e la mano sinistra
del musicista subiscono una sollecitazione importante: l’avambraccio deve stare
in una posizione ben precisa per tutta la durata dell’esecuzione. Altro aspetto
riguarda lo sforzo al quale è sottoposto il palmo della mano e, non per ultimo,
lo sforzo intenso esercitato dai muscoli flessori delle dita durante il
vibrato. Secondo il Dott. Schnack bisogna agire su due fronti: esercizi di
estensione massima ed intensa della muscolatura e rafforzamento dei muscoli
della schiena che negli anni si sono indeboliti.
Il Dott. Franck Jeschke, in quanto medico dentista e
musicista, conosce bene le problematiche che derivano da una prolungata
immobilità della persona in una determinata posizione perché si occupa da anni di
mioartropie e cioè quei dolori che si avvertono tra la mandibola e la regione
testa-collo. Il suo rapporto ci riporta questo fenomeno come somma di due cause
del tutto indipendenti tra loro e di cui i violinisti di un’orchestra sembrano
esserne particolarmente colpiti. Con il termine mioartropia o disfunzione
cranico mandibolare si definiscono quei disturbi cronici che appartengono alla
regione della mascella e delle orecchie, delle tempie e della fronte, come pure
della nuca e della parte superiore delle spalle, i quali si manifestano con
difetto o cattivo funzionamento della masticazione. Questi muscoli, quattro per
ogni dente, assieme ad altri, assicurano con il movimento completo
dell’articolazione della mandibola funzioni importanti come deglutire, parlare,
mimare. Per un violinista alla condizione di stress normale si aggiunge una particolare
tendenza della mandibola che è caratteristica quando si tiene lo strumento
contro il mento. Quest’ultimo deve continuamente bilanciare con un sottile
contrappeso lo strumento e la pressione dell’archetto cercando di mantenere un
corretto portamento. Secondo il Dott. Jescchke il violinista “lavora con il
mento” e lo capiamo semplicemente osservandolo durante il suo lavoro: la
mandibola è quasi sempre in movimento in una posizione non fisiologica che
viene determinata da un’altissima concentrazione. E’ appunto una attività
parafunzionale, originata da cause quasi anatomiche, che finisce per gravare in
modo abnorme sui denti. L’attività compensatoria, in corrispondenza dei muscoli
della testa e della nuca, concorre poi a completare il quadro della
mioartropia. Portamenti in avanti o all’indietro della spina dorsale sono da
attrribuire appunto alle parafunzioni.
Un’altra ricerca degna di nota è sicuramente quella che
hanno portato avanti tre medici tedeschi, Gabriele Bowing, Albrecht e
Friederich Molsberger, che hanno svolto un’interessante indagine sul
comportamento dei musicisti di due orchestre tedesche. I tre medici hanno
sottoposto ai musicisti un questionario diviso in quattro sezioni di cui la
prima rivolta ad accertare quali dolori muscolari si riscontravano, la seconda
quali le loro localizzazioni per ogni singolo gruppo di strumento, la terza per
capire a quale tipo di medico si ricorreva prevalentemente, la quarta che
capire quali erano gli atteggiamenti nei confronti dei consigli terapeutici. I
risultati hanno accertato che il 35% dei musicisti presentava più
frequentemente dolori alla nuca, seguito da un 16% di disturbi alla colonna
vertebrale e da emicranie (con l’11%). Le localizzazioni dei disturbi,
distribuite per gruppi di strumenti, hanno dato indicazioni altrettanto
interessanti. Fra i violinisti oltre al rilevante numero di dolori cervicali,
alla colonna vertebrale o dovuti ad emicranie, si evidenziavano maggiormente
disturbi alle articolazioni della spalla e del gomito. I carichi statici e
dinamici dipendono ovviamente dallo strumento musicale. Fra i fattori statici è
stata analizzata soprattutto la posizione sedentaria del musicista ed il suo
modo di tenere o appoggiare lo strumento. L’attività sedentaria e
l’impossibilità di muovere il tronco, provocano un notevole aggravamento del
carico sulla colonna vertebrale. Violini e viole reggono lo strumento spingendolo
con il mento sulla spalla e questo fa sì che nel corso degli anni la cervice si
incurvi con una deformazione caratteristica (kyphosierung) che spiega la
frequenza dei disturbi alla nuca e le emicranie.
Da un recente articolo apparso sul quotidiano La Stampa, a cura di Valentina Frezzato, apprendiamo che l’Italia torna oggi ad essere pioniera sullo studio delle malattie dei musicisti.
I ricercatori del Laboratorio di ingegneria del sistema neuromuscolare del Politecnico di Torino hanno condotto uno studio su violinisti, violoncellisti e violisti del conservatorio Vivaldi di Alessandria. Secondo il coordinatore dei ricercatori, Roberto Merletti “chi suona uno strumento musicale a livello professionale svolge una attività fisica molto simile a quella di uno sportivo o di un operaio che lavora ad una linea di montaggio e soffre di patologie neuromuscolari non molto diverse». Movimenti rapidi e precisi, eseguiti in posture non sempre ottimali, ripetuti per ore al giorno, causano inevitabilmente fatica e dolori «e se ignorati - continua - possono costringere il musicista a interrompere la professione». Gli ingegneri del Politecnico sono stati i primi al mondo a studiare così da vicino i musicisti e per far questo hanno applicato ai loro corpi degli speciali elettrodi che riportano in tempo reale il comportamento dei loro muscoli che secondo i ricercatori «producono segnali elettrici detti elettromiogramma, come l’elettrocardiogramma dal cuore, prelevabili sulla cute tramite griglie di elettrodi applicati come un cerotto». I diversi colori, tendenti al rosso per i muscoli più sollecitati e tendenti al blu per i muscoli sottoposti a meno attività, producono una mappa che consente ai ricercatori di correggere posture o contrazioni in tempo reale.
Il “dovere sociale” partito da Ramazzini nel ‘700 percorre una strada ricca di esperienze, studi e sperimentazioni che oggi ci ritorna con alcuni punti fermi. La sfida che ci attende è quella di mettere a frutto la preziosità delle ricerche passate senza danneggiare il livello e la qualità della musica e dei musicisti.