martedì 15 novembre 2016

I 20 ANNI DI "DIARIO PREVENZIONE"

Pur se l'autore di Diario Prevenzione, Gino Rubini, afferma provocatoriamente che non c'è nulla da festeggiare io credo invece di dovergli i miei ringraziamenti ed i miei più sentiti auguri per i suoi venti anni di attività! Grazie Gino Rubini per la tua passione e la tua voglia di condividere sempre le tue ricerche, conoscenze ed esperienze! Per collegarti al sito clicca qui

Obblighi e tutele dei lavoratori in teatro

Con piacere pubblico il lavoro di Elena Blasi che cerca di fare una sintesi su come si applica e da dove nasce il sistema della prevenzione e della sicurezza nei teatri. Elena Blasi vive nella regione Piemonte e si occupa di formazione nel campo della salute e sicurezza sul lavoro. Questo lavoro nasce da una sua grande passione per il teatro. Il manuale di Elena non è particolarmente tecnico, anche perchè è frutto della sua tesi di laurea al DAMS, ma rappresenta un documento di facile comprensione anche per i non esperti di sicurezza sul lavoro. Allo stesso tempo il suo è un lavoro che cerca di diffondere una cultura della sicurezza anche a chi, pur essendone completamente coinvolto, ne risulta inconsapevole. E qui mi vengono subito in mente i tanti artisti e cantanti che lavorano in palcoscenico. Spero che questo lavoro sia l'inizio di un qualcosa di più ampio che possa anche diventare uno strumento per gli addetti ai lavori. Ringrazio Elena Blasi per avermi autorizzato alla pubblicazione della sua tesi e le faccio il mio in bocca al lupo per i prossimi lavori.
Introduzione. Il teatro è da sempre un luogo capace di intercettare sogni e desideri degli spettatori. Capace di farli divertire, riflettere, talvolta annoiare e arrabbiare per una performance non ben realizzata. Ed è sempre stato un luogo di cultura, un posto dove la gente potesse conoscere, apprendere. Ed è sempre stato un luogo di sperimentazione, dove registi, scenografi e attori si sono destreggiati per creare, realizzare qualcosa di nuovo, di magico, qualcosa che potesse rimanere nella storia. Mix di parole, espressioni, movimenti calcolati e altri meno, luci, effetti scenici, spazi da riempire e altri da lasciare volutamente vuoti. Ma tutti con un unico comune scopo di fondo, quello di far ricordare e farsi ricordare, quello di cambiare un pezzetto di vita quotidiana al fortunato o alla fortunata (o meno!) che ha avuto modo di assistere alla rappresentazione. E noi, spettatori, abbiamo, da secoli, abbracciato questo richiamo, ci siamo fatti avvolgere e coinvolgere da questi mondi altri o semplici giorni, rappresentati su quel palcoscenico, che nudo e spoglio prende vita e si riempie ad ogni rappresentazione.
Incidenti in teatro. Ma il teatro è, ed è sempre stato, anche un luogo di lavoro, oltre che un luogo pubblico, e pertanto con necessità di gestione e di organizzazione tali da permettere al pubblico pagante o meno e agli stessi operatori del settore, di godersi lo spettacolo senza il timore che possa succedere qualcosa di negativo e pericoloso. Eppure la storia ci ha dimostrato che, nella realtà, il teatro può effettivamente essere un luogo pericoloso se non gestito con le dovute attenzioni. Si pensi agli incendi diventati famosi nella storia, come quelli del Globe Theatre, il teatro nei pressi di Blackfriars Bridge sulla riva del Tamigi, in cui recitò la compagnia di William Shakespeare, distrutto da un incendio nel 1613. Ricordiamo poi l’incendio del 1836 de La Fenice di Venezia, dopo soli 44 anni dalla realizzazione e l’ancor più recente incendio del 1996 che, nel tardo pomeriggio del 29 gennaio, distrusse nuovamente il teatro. Fin dall’inizio del ‘900 ha iniziato a svilupparsi in Italia una cultura legata alla prevenzione incendi, promossa dagli stessi addetti ai servizi di soccorso che ben conoscevano e conoscono gli effetti devastanti che possono scaturire dal divampare e dal propagarsi di un incendio. E ovviamente non si parla solo di perdita di beni materiali ed economici, ma di ingenti vite umane. Si stima che tra l’inizio del 1770 e la fine del 1800 siano morte, nel mondo, oltre 8000 persone a causa di incendi propagatisi nei teatri o per motivi dipendenti da essi. Avvicinandoci al nostro territorio, ricordiamo che il teatro Alfieri di Torino venne distrutto tre volte: 1863, 1868, 1927. Ma l’incendio che colpì maggiormente il patrimonio artistico e architettonico torinese, fu quello che avvenne l’8 febbraio 1936, all’incirca un’ora dopo lo scoccare della mezzanotte, nel teatro Regio e che lo distrusse completamente. Il teatro, vista l’ora tarda, non aveva all’interno, ne’ attori, ne’ spettatori, ma il custode e la sua famiglia erano presenti all’interno della struttura. Grazie all’intervento della squadra dei vigili del fuoco, allora “pompieri”, venne messa in salvo l’intera famiglia, composta da tre adulti e quattro bambini, ma senza non poche difficoltà. I pompieri riuscirono anche a salvare l’Archivio di Stato, edificio adiacente al teatro. Del Regio, tuttavia, non rimase nulla tranne i muri. In questo caso, ma verosimilmente i motivi possono essere analoghi in moltissime altre situazioni, le cause della rapida propagazione sembrano essere derivate dall’utilizzo di materiali scenici non ignifughi e dai palchi di legno non trattato con prodotti capaci di impedire, o comunque rallentare, un eventuale incendio. Inoltre non esisteva un telone metallico capace di compartimentare, almeno temporaneamente, il palco dal resto della struttura. Sicuramente ha, inoltre, inciso l’inesistente sorveglianza notturna del teatro. Il custode svolgeva il proprio compito esclusivamente in orario diurno e durante le rappresentazioni, e non erano presenti presidi antincendio automatici.
La normativa. Gli incendi sono, quindi, stati i protagonisti non graditi di numerosi incidenti, tanto che sicuramente oggi la normativa in merito è diventata particolarmente ferrea e controllata da parte delle autorità competenti. Il D.M. 19 agosto 1996 è la “norma verticale”2 che regolamenta “l’approvazione della regola tecnica di prevenzione incendi per la progettazione, costruzione ed esercizio dei locali di intrattenimento e di spettacolo”. Resta, ovviamente, ancora molto da fare in merito, tenendo soprattutto presente che risulta sicuramente più semplice applicare la nuova normativa su edifici di nuova costruzione, mentre grossi problemi permangono per le strutture storiche. Si pensi, a questo proposito, che attualmente il teatro Regio non ha ancora ottenuto quello che veniva definito, fino a poco tempo fa, il Certificato di prevenzione Incendi da parte dei Vigili del Fuoco di Torino, in quanto i lavori di adeguamento rispetto all’attuale normativa, sono molteplici e anche molto onerosi. Questo tuttavia non significa che la struttura non sia in grado di accogliere in tranquillità il numeroso pubblico che si avvicenda all’interno di quello che viene definito uno dei più grandi teatri d’Europa, nostro motivo di vanto. E’ stata realizzata una procedura che prevede l’ausilio costante dei vigili del fuoco che supportano e supervisionano ogni rappresentazione, sia in fase di allestimento che di realizzazione. Sono, inoltre, notevoli i controlli applicati, che permangono anche durante i periodi di non apertura al pubblico, così come riferito dall’ Ing. Isabella Agusta, ASPP (addetto al servizio di prevenzione e protezione) del teatro Regio di Torino3. 2 Con “norma verticale” si identificano le normative antincendio che si riferiscono a singoli tipi di edifici o attività (ad esempio alberghi, teatri e, in genere, attività ricettive). Ma al di là delle norme che regolamentano la prevenzione incendi nei locali adibiti all’intrattenimento, definite e sufficientemente “standardizzate”, il legislatore affida completamente ai Direttori dei locali di pubblico spettacolo (compresi i teatri) il compito di valutare tutti gli altri potenziali rischi e prendere provvedimenti affinché tali rischi non possano trasformarsi in danni. Di fatto non esiste, al momento attuale, una normativa specifica in merito alla sicurezza in palcoscenico. Ciò che più si avvicina è il D.P.R. 322 del 20 marzo 1956 che regolamenta la prevenzione infortuni nell’industria cinematografica e i più recenti Decreto Interministeriale 22 Luglio 2014 e la Circolare 35 del 24 Dicembre 2014, conosciuti come “Decreto Palchi”, che indirizzano principalmente la loro attenzione sulle installazioni in esterno, ma di fatto possono trovare applicazione anche all’interno di strutture. Per quanto riguarda il teatro inteso come luogo di lavoro di personale incaricato, sia esso composto da tecnici, manutentori, addetti alle pulizie e ai servizi in genere, sia da attori, ballerini, cantanti, musicisti, ci si deve rifare a quanto stabilisce il D.Lgs. 81/08, Testo Unico sulla sicurezza a tutela dei lavoratori. Ma chi coinvolge questo decreto? E quanto viene applicato?...e, soprattutto, è applicabile?
Parte I. Iniziamo con il comprendere cosa richiede il D.Lgs. 81/08, Testo Unico sulla sicurezza. Il D.Lgs.81/08, che abroga la precedente 626/94, è il testo di riferimento in cui convogliano tutti i suggerimenti e le regole per far fronte alla tutela dei lavoratori, sia in termini di salute che in termini di sicurezza sul lavoro. Di fatto risulta essere un testo, che per inciso è consultabile e scaricabile on line gratuitamente, a cui numerose appendici fanno da corollario. Solo per citarne alcune, parlando di sicurezza dei lavoratori, non possiamo prescindere dalla consapevolezza e conoscenza dei lavoratori stessi, e da qui ci colleghiamo all’ Accordo Stato Regioni del 21.12.2011, entrato in vigore il 21.02.2012 e a quello entrato in vigore il 22.02.2013, che decretano il minimo livello di formazione e informazione che deve essere garantito a tutti i lavoratori (cosa che presuppone percorsi formativi che variano a seconda della categoria di appartenenza e delle attrezzature da utilizzare). Ma chi sono i lavoratori? L’art. 2 del D.Lgs.81/08 nelle Definizioni, stabilisce che il “lavoratore è la persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione… (…)” Va da se’ che chiunque, a qualsiasi titolo, operi all’interno di un’organizzazione, ivi compresa quindi un’associazione culturale, una società di spettacolo, chiunque, di fatto, operi in ambito teatrale, viene considerato lavoratore. E chi è il datore di lavoro? Sempre rifacendoci all’ art. 2 comma b) troviamo la definizione di datore di lavoro: “il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l’assetto dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. (…)” Di conseguenza datore di lavoro risulta essere, probabilmente, sia il proprietario della compagnia teatrale, che il presidente dell’associazione culturale non a scopo di lucro. Chi decide di permettere che si realizzi una determinata rappresentazione è facilmente riconoscibile come datore di lavoro; chi opera per realizzarla, a tutti gli effetti, è individuabile come lavoratore. Si ricordi ancora una volta che nella definizione di lavoratore viene sottolineato il concetto di “con e senza retribuzione” coinvolgendo, di conseguenza, chiunque effettui una qualsiasi attività. Individuati gli “attori” protagonisti della normativa non resta che cercare di capire quanto il canovaccio, la normativa stessa, pretenda dai suoi personaggi. Si parla di responsabilità civili e penali pressoché per tutti; è quindi necessario non sottovalutare gli aspetti richiesti dalla normativa e cercare di applicarli quanto più possibile. Partiamo dal presupposto che il teatro, in generale, coinvolge una serie di personaggi – lavoratori molto eterogenei e, sicuramente, molto differenti gli uni dagli altri. Ci sono gli attori, i ballerini, i cantanti, i musicisti, i mimi, gli acrobati, i direttori d’orchestra, i registi, i costumisti, gli scenografi; poi i lavoratori del “dietro le quinte”: assistenti, tecnici, personale di servizio, chi si occupa delle pulizie dei locali, chi della manutenzione, chi della vendita. Un gran numero di persone, insomma, che come nelle aziende produttive, ricopre i più svariati ruoli e attività. E nello stesso momento in cui queste persone ricoprono il proprio ruolo di “lavoratore”, allo stesso modo che l’operatore delle presse nell’azienda metalmeccanica o il commesso della cartoleria sotto casa, devono essere tutelate. Ma cosa significa tutelare un lavoratore? E, soprattutto, chi deve farlo? Tenendo conto che l’art. 3 – campo di applicazione del D.Lgs. 81/08 cita: “il presente decreto legislativo si applica a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio”, si conferma che quanto presente nel D.Lgs. 81/08 sia attuabile e da attuare anche nel mondo del teatro e dello spettacolo in generale. Il datore di lavoro (in qualsiasi forma sia individuabile, ma in ogni caso individuabile in qualsiasi tipo di organizzazione, profit o no profit che sia) deve preoccuparsi di valutare tutti i rischi presenti nelle attività che risultano essere sotto la propria responsabilità ed elaborare un documento che risulti essere la fotografia della situazione esistente e della sua prossima evoluzione (art. 17 - D.Lgs. 81/08 – obblighi del datore di lavoro non delegabili). Il documento, che deve essere redatto sotto la piena responsabilità del datore di lavoro, si chiama Documento di Valutazione dei Rischi (acronimo DVR) e deve contenere, come cita l’art. 28 (D.Lgs. 81/08), “la valutazione di tutti i rischi con l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione, il programma di miglioramento dei livelli di sicurezza, l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, i ruoli dell’organizzazione aziendale e l’individuazione delle mansioni che espongono i lavoratori a rischi specifici”. Quindi, è necessario individuare, senza sottovalutare, qualsiasi potenziale pericolo possa esporre i lavoratori e questa, forse, è una delle parti più complesse. Difficilmente si è in grado, nella nostra quotidianità, di “vedere” cosa non si è ancora mai verificato. La normativa prevede anche che il datore di lavoro debba farsi affiancare, nella propria attività di valutatore dei rischi per i lavoratori, da un tecnico esperto e competente che abbia le conoscenze per individuare i rischi per la sicurezza. Tra i compiti non delegabili del datore di lavoro vi è, quindi, la nomina del RSPP (Responsabile del Servizio Prevenzione e Protezione) che non deve necessariamente essere presente sul luogo di lavoro ma deve provvedere a (art. 33 - D.Lgs. 81/08 - comma 1): “a) all’individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all’individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell’organizzazione aziendale; b) ad elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive (…) e i sistemi di controllo di tali misure; c) ad elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali; d) a proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori; e) a partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica4; (…)” Resta inteso che è compito del datore di lavoro (di seguito DDL) sincerarsi che il RSPP nominato abbia e mantenga nel tempo i requisiti per svolgere il proprio compito. Il DDL può anche svolgere direttamente il compito di RSPP, ma deve possedere requisiti e formazione specifica in merito. Alla valutazione dei rischi e all’elaborazione del documento (oltre alle variazioni che devono essere apportate nel tempo) è necessario, quindi, che sia presente il contributo di un “esperto” del settore che si assumerà, almeno in parte, la responsabilità di aver individuato quei pericoli che potrebbero scaturire dalle attività svolte dai lavoratori. 4 La riunione periodica obbligatoria a livello almeno annuale nelle realtà con più di 15 lavoratori, a cui devono partecipare datore di lavoro, RSPP, medico competente e RLS – rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Altra figura fondamentale per la redazione del DVR è quella del Medico Competente, “medico con requisiti professionali e formativi specifici (…) che collabora con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria” (…) dei lavoratori e dei locali adibiti a luogo di lavoro (art. 2 comma h). Va detto che non necessariamente tutti i lavoratori debbano essere sottoposti a sorveglianza sanitaria. Di sicuro, però, è necessaria una visita almeno annuale per tutti quegli operatori che hanno a che fare in modo continuativo con rumore, vibrazioni e movimentazione manuale dei carichi. Per gli altri sarà la discrezionalità e la competenza del medico nominato stabilire la necessità o meno di un protocollo di sorveglianza (periodicità e tipologia di esami da svolgere). Ma, quindi, risulta necessaria la nomina di un medico anche in teatro? Di fatto sì, perché insieme al RSPP (anch’esso obbligatorio) e al datore di lavoro dovrà definire i rischi per la salute dei lavoratori, collaborando alla stesura del DVR. Sarà, poi, il Medico Competente a stabilire se e chi (a seconda del proprio ruolo o mansione) dovrà essere sottoposto a visita periodica di controllo. In ogni caso la sua decisione dovrà essere formalizzata in forma scritta e consegnata al datore di lavoro, il quale avrà, comunque, la responsabilità di vigilare sull’operato del Medico, oltre che delle altre figure. Una volta individuati i rischi, questi devono essere “pesati”. E’ necessario, di fatto, creare una scaletta prioritaria di intervento, eliminando fin da subito le situazioni potenzialmente maggiormente rischiose. Quanto è probabile che l’elettricista, per montare le luci del palcoscenico, possa scivolare dalla scala? E se dovesse scivolare qual è il danno che può subire? Quanto male si può fare? Analizzeremo di seguito il fatto che le scale possano o meno essere utilizzate. Per il momento è necessario capire come gestire le priorità di intervento. Il DVR è, e deve essere, uno strumento dinamico, utile per la gestione e la programmazione degli interventi atti a migliorare la sicurezza sul luogo di lavoro. Bruno Scagliola, che ha lavorato come RSPP del Teatro Regio di Torino per oltre 20 anni, nella sua pubblicazione “Il Decreto 81 e il mondo dello spettacolo” afferma che per ogni spettacolo è necessaria una valutazione dei rischi per tutto il personale tecnico ed artistico che opera sul palcoscenico. E’ una valutazione che deve evolversi e modificarsi per lo meno in tre momenti differenti: ⦁ Durante l’allestimento in fase di progetto ⦁ Durante la fase di montaggio e le prove in palcoscenico ⦁ Prima della prova generale e / o della Prima Ricordiamo che il DVR è un documento complessivo di tutte le attività che vengono svolte all’interno del teatro stesso. Quali sono i rischi per i lavoratori e le difficoltà di applicazione delle tutele Lo spettacolo di per se’ è solo uno dei momenti che devono essere analizzati. Va da sé che è possibile che un allestimento scenico vari a seconda delle esigenze registiche, scenografiche, ecc… in corso d’opera. Il datore di lavoro o chi per esso deve preventivamente analizzare tutti i potenziali rischi e non solo durante l’allestimento in fase di progetto e vigilare affinché ci sia coerenza tra quanto individuato e quanto effettivamente si può verificare. Questo significa che le fasi di evoluzione ed eventuali modifiche del documento (non necessariamente obbligatorie qualora sia stato tutto analizzato preventivamente) ricoprono l’intero periodo della rappresentazione. Ovviamente tenendo in considerazione che tale valutazione deve ricordarsi di analizzare tutte le mansioni e tutto il personale coinvolto: sia chi calcherà il palco sia chi, da dietro le quinte, avrà permesso con il proprio lavoro che lo spettacolo vada in scena. In una fase iniziale è necessario individuare i principali fattori di rischio, distinguendo quelli per la sicurezza dei lavoratori, quelli per la salute e, infine, fattori ergonomici, organizzativi e gestionali. In linea di massima, anche se ovviamente un’analisi precisa deve essere effettuata in loco e a seconda delle situazioni specifiche, fattori di rischio comuni per la sicurezza possono essere causate da: ⦁ Aree esterne ed accessi ⦁ Aree di transito interne ⦁ Porte, vie ed uscite di emergenza ⦁ Spazi di lavoro interni e strutture ⦁ Scale fisse e portatili, ponteggi, sistemi di accesso e posizionamento in quota ⦁ Manipolazione manuale di oggetti e movimentazione manuale dei carichi ⦁ Attrezzature manuali ⦁ Macchinari ⦁ Immagazzinamento di oggetti ⦁ Impianti elettrici ⦁ Mezzi di sollevamento ⦁ Mezzi di trasporto ⦁ Rischi incendio ⦁ Rischi chimici (per la sicurezza) Fattori di rischio per la salute, invece, da: ⦁ Rischi chimici (questa volta analizzati sulla base di quali possono essere i rischi per la salute, con problematiche per l’individuo capaci di svilupparsi nel tempo) ⦁ Climatizzazione dei locali di lavoro ⦁ Esposizione a rumore ⦁ Esposizioni a vibrazioni ⦁ Microclima termico ⦁ Illuminazione ⦁ Carico di lavoro fisico ⦁ Carico di lavoro mentale ⦁ Servizi igienici e igiene degli ambienti Infine andranno analizzate: ⦁ Ergonomia delle postazioni di lavoro e posture ⦁ Ergonomia delle macchine e delle attrezzature ⦁ Fattori oggettivi di stress ⦁ Rapporti e comunicazioni interpersonali ⦁ Organizzazione del lavoro ⦁ Formazione, informazione dei lavoratori ⦁ Grado di partecipazione ⦁ Istruzioni e procedure di lavoro ⦁ Dispositivi di protezione personale adottati e da adottare ⦁ Sorveglianza sanitaria se richiesta ⦁ Gestione delle emergenze e del primo soccorso ⦁ Controlli e manutenzioni ⦁ Presenza di personale femminile in età di concepimento (le lavoratrici in età di puerpuerio devono essere gestite con particolati attenzioni atte a non ledere ne’ loro, ne’ il potenziale feto). I principali pericoli che possono scaturire da quanto sopra possono essere riassunti (anche se non si tratta di un elenco esaustivo) in: ⦁ Urto ⦁ Perforazioni, punture, tagli ⦁ Attriti o abrasioni ⦁ Scivolamenti e inciampi ⦁ Caduta dall’alto di materiali ⦁ Rischi elettrici ⦁ Incendi ⦁ Rischi derivanti da esposizioni a polveri e nebbie ⦁ Ustioni e scottature ⦁ Ipoacusia ⦁ Rischi derivanti da vibrazioni ⦁ Rischi derivanti da movimentazioni manuali dei carichi ⦁ Stress Va da se’ che tutto quanto elencato debba essere preso in considerazione, ma la probabilità che tali rischi si verifichino e la gravità dei danni che ne possono scaturire, dipenderanno dalle specifiche situazioni, portando il rischio di esposizione dei lavoratori ad essere più o meno elevato. Bisogna necessariamente dire che in alcuni casi la normativa a tutela dei lavoratori sia oggettivamente inapplicabile per l’impossibilità stessa di eliminare a monte il problema. Pertanto, ricordando che non esiste il rischio zero (è comunque sempre possibile che, malgrado tutti gli accorgimenti atti a preservare i lavoratori, l’evento fortuito o imprevedibile possa verificarsi e causare danni), esiste il rischio accettabile. Ma le deroghe che si decide di applicare di fronte all’impossibilità di applicare alla lettera quanto la normativa impone, devono essere in ogni caso descritte all’interno del DVR e giustificate. Si pensi ad esempio all’esposizione al rumore e ai dispositivi da adottare qualora il livello definito dalla normativa (art, 189) venga superato. Quanto richiesto è che il lavoratore, per non incorrere in problematiche causate da un eccesso di suono non venga esposto a valori superiori a 87 dB a livello settimanale. Per avere un paragone coerente alla quotidianità con il tipo di valore indicato - basti pensare che 70-80 dB corrispondono al traffico stradale o ad un aspirapolvere in azione e 90-100 dB sono l’equivalente di un motociclo in accelerazione. La musica in teatro, sia durante le prove che durante gli spettacoli, è decisamente al di sopra del limite definito. E’ pur vero che non conta solo il valore ma anche il tempo in cui si è esposti, ma si pensi ad un direttore d’orchestra e ai componenti dell’orchestra stessa a quante ore di prove si sottopongono per poter andare in scena. Come viene riportato nell’ Allegato II - Linea guida per il settore della musica e delle attività ricreative, ai sensi dell’articolo 198 del D.Lgs. 81/2008 s.m.i (…) “Il datore di lavoro, come previsto dall’art. 181 del D.Lgs. 81/2008, effettua per il tramite di personale qualificato una valutazione del rischio con misurazioni (…), che sia rappresentativa dell’esposizione a rumore di tutti i lavoratori esposti nelle normali condizioni di lavoro, adottando una strategia che tenga conto di una serie di fattori, tra cui: ⦁ tipologia dell’attività: spettacolo dal vivo o riprodotto; ⦁ tipologia del genere di musica eseguita e articolazione nell’anno delle prove e degli spettacoli; ⦁ tipologia dei luoghi in cui l’attività viene svolta: sede permanente o più luoghi; ⦁ modalità di uso delle apparecchiature ed esposizione ai livelli di pressione: con o senza ausilio di amplificazione. L’obiettivo della valutazione del rischio è di determinare il livello di esposizione personale a rumore (giornaliero, settimanale, settimanale ricorrente a massimo rischio) di ogni singolo lavoratore sulla base del quale adottare le strategie di tutela e sicurezza previste dagli articoli 192 (Misure di prevenzione e protezione), 193 (Uso dei dispositivi di protezione individuali), 194 (Misure per la limitazione dell’esposizione), 195 (Informazione e formazione dei lavoratori) e 196 (Sorveglianza sanitaria) del D.Lgs. 81/2008.” Non è sicuramente pensabile che il direttore d’orchestra, ne’ tantomeno gli orchestrali utilizzino i DPI (dispositivi di protezione individuali), come ad esempio cuffie o tappi otoprotettivi, durante lo svolgimento della propria attività. Tuttavia, interventi atti a limitare il rischio possono essere realizzati, lavorando soprattutto sulle strutture: ⦁ Installando limitatori del livello sonoro nei sistemi di amplificazione ⦁ I musicisti possono utilizzare, previa adeguata formazione, schermi per proteggersi dal suono prodotto da altri musicisti e per migliorare la percezione del proprio strumento ⦁ Le sale prove per i musicisti dovrebbero essere di dimensioni adeguate e avere caratteristiche acustiche adatte, con attenzione particolare al riverbero ⦁ Progettare buche orchestrali e palchi da concerto in modo adeguato, così da ridurre l’esposizione sonora per i musicisti senza incidere sulla qualità del suono in sala. Relativamente, invece, a tutti coloro che interagiscono con gli ambienti in cui è presente un livello sonoro oltre il limite deve essere fatto uso obbligatorio di otoprotettori e vi deve essere segnalazione evidente (mediante cartelli) che l’area è soggetta a rumorosità elevata. A rafforzare quanto predetto concorrono, oltre al D.Lgs 151/2001 “Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della Legge 8 Marzo 2000 n° 53” che prevede una particolare tutela in merito all’esposizione a specifici rischi, anche il D.lgs 81/08 medesimo: Articolo 183 - Lavoratori particolarmente sensibili. “comma 1. Il datore di lavoro adatta le misure di cui all’articolo 1825 alle esigenze dei lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio, incluse le donne in stato di gravidanza ed i minori.(…)” L’interazione del rumore con lo stato di salute del feto durante gli ultimi mesi di gravidanza viene sempre più avvalorata da studi tecnici e medici autorevoli (si vedano in merito, ad esempio, i documenti “Documento di tutela delle lavoratrici madri nella A.U.S.L. Viterbo” rev.2 del 14/12/2012 e le “Linee guida per la sicurezza e la salute delle lavoratrici madri - 2° parte” emesse dall’Azienda USL di Imola). In ciascuno dei documenti citati si pone l’accento sulla capacità di percezione del feto del rumore e sui possibili danni che lo stesso potrebbe cagionare durante lo sviluppo. L’art. 15 (D.Lgs. 81/08) – Misure generali di tutela – p.to 1 al comma c) diventa l’àncora a cui aggrapparsi: “Le misure generali di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro sono: (…) c) l’eliminazione dei rischi e, ove ciò non possibile, la loro riduzione al minimo, in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico”. L’”ove sia possibile” apre la strada a soluzioni alternative che si basano principalmente su procedure comportamentali da adottare, qualora non sia esplicitamente indicato come tassativo l’ottemperare alla normativa. Si pensi a questo proposito, alla gestione della movimentazione manuale dei carichi. 5 n.d.r. riduzione dell’esposizione alla fonte e rispetto dei valori di esposizione in maniera tassativa La norma tecnica prevede, come indicazione di massima, che un uomo adulto possa sollevare, spostare, movimentare un “peso” che sia al massimo di 25 Kg, senza nessun ausilio. Per le donne la cifra si riduce a 20 Kg. Si tratta di una norma indicativa, perché ovviamente, per non rischiare di farsi male nel sollevare il peso in questione, bisogna anche tenere conto di altri fattori quali ad esempio la prendibilità e la facilità di manipolazione. Più è difficile sollevare o movimentare perché non si ha una buona e sicura presa, più il peso che possiamo spostare o sollevare si riduce. Ma come si può gestire il problema quando il nostro peso è il corpo di un attore o di un’attrice che per esigenze registiche deve essere sollevato e preso in braccio o i ballerini per basano le loro performance su sollevamenti coreografici? In questo caso varranno le norme che regolamentano la buona esecuzione dell’esercizio, tenendo però presente la necessità di una sorveglianza sanitaria costante. Parliamo, poi, di come la normativa preveda che i lavoratori non svolgano mai la propria attività sotto carichi sospesi e, qualora questo dovesse succedere, siano obbligati ad indossare caschi protettivi. Per quello che riguarda il teatro, ciò comporterebbe che in scena, anche durante le rappresentazioni, attori e ballerini, si trovino tutti ad indossare costantemente elmetti di protezione (si pensi a questo proposito alla quantità di oggetti e materiali che necessariamente devono essere installati e movimentati sulla struttura di appoggio e di sostegno della soffitta). Sotto molti punti di vista l’ambiente “teatro” è paragonabile ad un cantiere edile. Esistono tecnici elettricisti, manutentori, personale che effettua montaggio e smontaggio di scenografie e movimentazione carichi, personale che sale e scende dalle scale. A questo proposito nel Titolo IV all’art. 111 (D.Lgs. 81/08), al comma 3 viene chiarito quando si può o non si può utilizzare le scale portatili (che, in ogni caso, devono rispondere alle normative di sicurezza in vigore): “Il datore di lavoro dispone affinché sia utilizzata una scala a pioli quale posto di lavoro in quota solo nei casi in cui l’uso di altre attrezzature di lavoro considerate più sicure non è giustificato a causa del limitato livello di rischio e della breve durata di impiego oppure delle caratteristiche esistenti dei siti che non può modificare”. Questo significa che prioritariamente è necessario utilizzare strumenti quali, ad esempio trabattelli o ponti mobili, e che l’utilizzo di scale portatili deve essere esclusivamente limitato alle situazioni in cui o il tempo di utilizzo è molto ristretto o non ci sia spazio sufficiente per installare un’attrezzatura più stabile. L’art. 113 (D.Lgs. 81/08) ne definisce le caratteristiche: ⦁ “Comma 2 - Le scale a pioli di altezza superiore a m 5, fissate su pareti o incastellature verticali o aventi una inclinazione superiore a 75 gradi, devono essere provviste, a partire da mt 2,50 dal pavimento o dai ripiani, di una solida gabbia metallica di protezione avente maglie o aperture di ampiezza tale da impedire la caduta accidentale della persona verso l’esterno (…) Quando l’applicazione della gabbia alle scale costituisca intralcio all’esercizio o presenti notevoli difficoltà costruttive, devono essere adottate, in luogo della gabbia, altre misure di sicurezza atte ad evitare la caduta delle persone per un tratto superiore ad un metro. ⦁ Comma 5. Quando l’uso delle scale, per la loro altezza o per altre cause, comporti pericolo di sbandamento, esse devono essere adeguatamente assicurate o trattenute al piede da altra persona. ⦁ Comma 9. Le scale doppie non devono superare l’altezza di m 5 e devono essere provviste di catena di adeguata resistenza o di altro dispositivo che impedisca l’apertura della scala oltre il limite prestabilito di sicurezza. L’art. 107 (D.Lgs. 81/08) definisce il lavoro in quota l’attività lavorativa che espone il lavoratore al rischio di caduta da una quota posta ad altezza superiore a 2 m rispetto ad un piano stabile. Il rischio caduta implica l’utilizzo di dispositivi di protezione anticaduta specifici, che rientrano nella 3° categoria (i così detti salvavita). E come viene esplicitato nell’art. 77 (D.Lgs. 81/08), al punto 5, è indispensabile un addestramento specifico. Da qui risulta evidente che il datore di lavoro ha l’obbligo di far effettuare addestramento e formazione specifica ai lavoratori che devono effettuare lavori in altezza (quindi al di sopra dei 2 mt. da piano stabile). In generale il datore di lavoro deve sincerarsi che il personale che viene utilizzato per effettuare attività specifiche, abbia sufficienti requisiti tecnico formativi. Per la normativa, non è sufficiente che il lavoratore sappia lavorare con attrezzature elettriche. Deve avere attestazione di formazione adeguata e riconosciuta. Inoltre, è necessario che le varie maestranze che operano all’interno di un’area, siano sufficientemente informate sui rischi che possono derivare dalle interferenze che nascono dalla convivenza delle varie attività. La documentazione di sicurezza Come per un cantiere temporaneo, vi è la necessità, a monte dello spettacolo, di redigere il piano di sicurezza e coordinamento (art. 100 - D.Lgs. 81/08), costituito da una relazione tecnica e prescrizioni correlate alla complessità dell’opera da realizzare ed alle eventuali fasi critiche del processo di costruzione, atte a prevenire o ridurre i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, qualora si preveda la presenza di realtà lavorative differenti, con datori di lavoro differenti (ad esempio elettricisti di un’azienda, manutentori di un’altra, addetti al montaggio delle scenografie di un’altra ancora e così via). Il piano di sicurezza e coordinamento (PSC) deve essere corredato da tavole esplicative di progetto, relative agli aspetti della sicurezza, comprendenti almeno una planimetria sull’organizzazione del cantiere. Almeno 10 giorni prima dell’inizio dell’allestimento scenico ogni impresa esecutrice che parteciperà all’attività dovrà inviare al committente il POS, piano operativo di sicurezza, contenente una serie di informazioni minime: a) i dati identificativi dell’impresa esecutrice, che comprendono: 1) il nominativo del datore di lavoro, gli indirizzi ed i riferimenti telefonici della sede legale e degli uffici di cantiere; 2) la specifica attività e le singole lavorazioni svolte in cantiere dall’impresa esecutrice e dai lavoratori autonomi subaffidatari; 3) i nominativi degli addetti al pronto soccorso, antincendio ed evacuazione dei lavoratori e, comunque, alla gestione delle emergenze in cantiere, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, aziendale o territoriale, ove eletto o designato; 4) il nominativo del medico competente ove previsto; 5) il nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione; 6) i nominativi del direttore tecnico di cantiere e del capocantiere; 7) il numero e le relative qualifiche dei lavoratori dipendenti dell’impresa esecutrice e dei lavoratori autonomi operanti in cantiere per conto della stessa impresa; b) le specifiche mansioni, inerenti la sicurezza, svolte in cantiere da ogni figura nominata allo scopo dall’impresa esecutrice; c) la descrizione dell’attività di cantiere, delle modalità organizzative e dei turni di lavoro; d) l’elenco dei ponteggi, dei ponti su ruote a torre e di altre opere provvisionali di notevole importanza, delle macchine e degli impianti utilizzati nel cantiere; e) l’elenco delle sostanze e miscele pericolose* utilizzate nel cantiere con le relative schede di sicurezza; f) l’esito del rapporto di valutazione del rumore; g) l’individuazione delle misure preventive e protettive, integrative rispetto a quelle contenute nel PSC quando previsto, adottate in relazione ai rischi connessi alle proprie lavorazioni in cantiere; h) le procedure complementari e di dettaglio, richieste dal PSC quando previsto; i) l’elenco dei dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori occupati in cantiere; l) la documentazione in merito all’informazione ed alla formazione fornite ai lavoratori occupati in cantiere Qualora sia necessario realizzare un PSC ci sarà anche la necessità di avere un coordinatore per la sicurezza. Da questo punto di vista il Decreto Palchi viene incontro alle realtà legate allo spettacolo, richiedendo si, sia il PSC che il POS (in una forma leggermente semplificata rispetto alla cantieristica tradizionale), ma soprattutto sostituisce la figura del coordinatore per la sicurezza (professionista con specifici ed elevati requisiti formativi) con il preposto del teatro (una figura, individuata dal datore di lavoro che abbia una sufficiente formazione per coordinare le maestranze impiegate e vigilare sull’osservanza delle regole dettate dal D.Lgs. 81/08 e s.m.i. Sulla base di quanto sopra risulta evidente come le figure che il datore di lavoro deve formare sono molteplici e con formazione differenti a seconda degli incarichi che devono ricoprire: ⦁ Tutti i lavoratori devono avere formazione specifica in base al livello di rischio (tale formazione varia, minimo, da 8 ore a 16 ore, con obbligo di aggiornamento quinquennale) ⦁ Le persone incaricate a supervisionare il lavoro dei lavoratori sono i preposti, che devono ricevere una formazione aggiuntiva rispetto a quella dei lavoratori generici di, minimo, 8 ore. Anche questa formazione ha obbligo di aggiornamento quinquennale. ⦁ E’ necessario che tutte le realtà lavorative abbiano i propri addetti alle emergenze (addetti al primo soccorso e addetti antincendio) con l’obbligo di essere sempre presenti sul luogo di lavoro e in misura sufficiente a coprire le eventuali emergenze (la loro formazione varia dalle 12 alle 16 ore per l’addetto al primo soccorso e dalle 4 alle 16 ore per l’addetto antincendio. La formazione ha validità triennale) ⦁ E’ diritto dei lavoratori (e obbligo del datore di lavoro formarlo) eleggere un proprio RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza). Il RLS deve ricevere una formazione di almeno 32 ore con aggiornamento annuale. Il RLS è l’unico dei lavoratori ad avere accesso diretto al documento di valutazione dei rischi, dovendo controfirmare il documento stesso affinché abbia validità e partecipare alla riunione periodica (annuale) con DDL, MC e RSPP ⦁ E’ obbligo del datore di lavoro far effettuare formazioni e addestramenti particolari a lavoratori esposti a specifici rischi. Vista in questo modo, la normativa appare relativamente chiara. L’elenco degli obblighi sia formali e burocratici, sia operativi che il datore di lavoro e tutte le figure della sicurezza (RSPP, Medico Competente, Preposti, Lavoratori, RLS) devono seguire, sono facilmente individuati ed individuabili. Ma quante sono le realtà che veramente applicano quanto la normativa richiede? E, se forse ci si aspetta maggior attenzione dalle compagnie professioniste, cosa si può dire, in realtà, delle migliaia di compagnie amatoriali presenti sul territorio nazionale?
Parte II. Ribadiamo il concetto di lavoratore: “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione”. Tutto quanto fin qui descritto rientra, di conseguenza, tra gli obblighi tanto delle compagnie professioniste, quanto di quelle amatoriali. Tuttavia la realtà attuale sembra essere decisamente distante da quanto risulta d’obbligo. Parlando con Guido Foglietta6, presidente della UILT7 Piemonte quello che oggi viene richiesto alle compagnie amatoriali si limita (quando questo avviene) alla sottoscrizione di un’autocertificazione in cui si dichiara che la compagnia rispetta la normativa in vigore. Qualche controllo maggiore viene fatto, negli ultimi anni, sui materiali che le compagnie portano in scena. Vengono richiesti materiali ignifughi o comunque trattati come tali. Come conferma Riccardo Oitana,8 presidente e direttore artistico dell’Associazione Apothema Teatrodanza le richieste dei teatri alle compagnie sono incentrate sul fatto che gli attori/ballerini siano assicurati e sul portare in scena scenografie ignifughe. Manca sovente la tutela da parte delle strutture anche solo in termini di pavimentazioni del palco idonee alla realizzazione della performance. Oitana continua dicendo che “il più grosso problema per loro sono le schegge” presenti sugli impalcati e che possono ferire i performers. 6 Conversazione privata - Agosto 2016 7 UILT – Unione Italiana Libero Teatro - nasce nel 1977 con lo scopo di aggregare, attraverso una linea culturale comune e condivisa, le compagnie “formate esclusivamente da attori non professionisti, volontari che non percepiscono compensi per le loro prestazioni, ma che svolgono (oltre il loro orario di lavoro) una regolare attività teatrale, di studio, di ricerca, di formazione artistica e tecnica, di produzione”. Consapevolezza delle compagnie. Quante sono le compagnie consapevoli degli obblighi che effettivamente hanno? E quanti sono coloro che sanno che, sottoscrivendo l’accettazione delle proprie responsabilità richiesta dai teatri in cui vanno a rappresentare, di fatto, ammettono di conoscere il D.Lgs. 81/08 e quanto contiene, ivi compresi i loro precisi obblighi documentali e di formazione? Fino ad oggi, di sicuro non ci sono stati controlli, da parte delle istituzioni, che abbiano portato le compagnie teatrali amatoriali a muoversi in questa direzione. E i teatri, dal canto loro, non hanno preteso che le regole venissero rispettate. La burocrazia e i costi che comportano l’applicazione della normativa sono sicuramente molto impegnativi e onerosi per chi fa del proprio amore per il teatro un passatempo, spesso senza ritorni economici in grado di coprire nemmeno la pizza del dopo spettacolo! Tuttavia le responsabilità di fatto che ricadono sulle compagnie non fanno distinzioni di disponibilità di denaro o meno. E andrà tutto bene fino a quando non si verificherà quella situazione che porterà la compagnia ad essere sanzionata per una mancanza o, peggio, a seguito di un incidente. Negli anni si è fatto molto per garantire sicurezza al pubblico concentrando l’attenzione sulla gestione delle potenziali emergenze derivanti da rischio incendio, crolli o calamità naturali. Le strutture teatrali sono tenute ad effettuare prove di evacuazione periodiche e sono tenute a garantire personale qualificato che possa supportare il pubblico in caso di necessità. Ad oggi quando sentiamo parlare di sicurezza in teatro viene in mente la gestione atta a tutelare principalmente i fruitori-spettatori. Non fa parte del pensiero comune immaginare la tutela di chi in teatro lavora. E’ necessario iniziare per tempo (anche se siamo già in ritardo) a creare una cultura della sicurezza, a dare informazioni corrette, a formare le persone, a pretendere che pian piano le compagnie possano mettersi in regola. E’ necessario fare corretta informazione. Dare ad ognuno la possibilità di conoscere quanto viene richiesto. Poi, ognuno, conoscendo i pro e i contro, potrà decidere come e se rispettare le regole. E’ necessario fare tutto ciò prima che l’attore tuttofare che posiziona anche le luci dello spettacolo, scivoli dalla scala su cui si è arrampicato stando solo attento a non cadere; prima che, come già accaduto, possa riverificarsi un incidente mortale come quello avvenuto nel Febbraio del 2016 a Raphael Schumacher, morto per strangolamento durante una finta impiccagione nel corso della rappresentazione. E’ necessario preoccuparsi della sicurezza degli allestimenti, prima che possano causare danni, come è successo durante uno spettacolo scolastico nel marzo del 2016 quando a Monza un sostegno luci è caduto rimbalzando addosso ad una giovane studentessa - attrice. Bisogna creare una cultura della sicurezza atta a proteggere tutti, a creare maggior consapevolezza dei rischi, a creare maggior tutela e ad evitare di doversi trovare a dire…si poteva evitare!
Bibliografia.. ⦁ Decreto D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 - Testo coordinato con il D.Lgs. 3 agosto 2009, n. 106, Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, edizione Giugno 2016 ⦁ Decreto Lgs. 151/01 - Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della Legge 8 Marzo 2000 n° 53 ⦁ Linee guida per la sicurezza e la salute delle lavoratrici madri - 2° parte” emesse dall’Azienda USL di Imola ⦁ Documento di tutela delle lavoratrici madri nella A.U.S.L. Viterbo - rev.2 del 14/12/2012 ⦁ Accordo Stato Regioni 21 Dicembre 2011 ⦁ D.M. 19 agosto 1996 - Prevenzione incendi locali di intrattenimento e spettacolo - D.P.R. 322 del 20 marzo 1956 ⦁ Decreto Interministeriale 22 Luglio 2014 e la Circolare 35 del 24 Dicembre 2014 (Decreto Palchi) ⦁ Bruno Scagliola - Il Decreto 81 e il mondo dello spettacolo (Febbraio 2010) ⦁ Michele Sforza - associazione per la storia dei vigili del fuoco - Nascita ed evoluzione del servizio antincendio della Città di Torino – Internet: http://www.pompieritorino.net/storiaweb/regio/regio.htm Ringraziamenti. Ringrazio sentitamente il dott. Giuseppe Patti, RSPP del Teatro Comunale di Bologna, che si è prodigato nel darmi informazioni assai utili e difficili da reperire, per poter portare avanti questa dissertazione. Ringrazio l’Ing. Isabella Agusta, ASPP del Teatro Regio di Torino, e il dott. Guido Foglietta, presidente della UILT Piemonte, per il tempo dedicatomi e la disponibilità dimostrata. Ringrazio tutte le persone a me vicine, gli amici con la A maiuscola, quelli che ho avuto la fortuna di incontrare nella mia vita e che hanno fatto il tifo e creduto in me. Infine, ma solo perché ho bisogno di dedicarle un po’ più di spazio, la persona che più di tutte ha voluto e insistito e insistito (e insistito!!!!)….affinché chiudessi questo percorso, malgrado l’ età adulta ormai raggiunta da un po’: la mia mamma.

sabato 12 novembre 2016

RLS IN TEATRO

Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS) è colui che rappresenta e tutela i diritti dei lavoratori nell’ambito della sicurezza sul lavoro all’interno delle aziende. Il RLS è una figura importantissima, resa obbligatoria attraverso il D.Lgs 81/08 (Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro). Secondo quanto riportato dal D.Lgs. 81/08 (art. 2, lettera i) il RLS è la “persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro”. Nelle aziende con meno di 16 dipendenti, il RLS è eletto direttamente dai lavoratori, seguendo quanto stabilito dagli accordi sindacali in materia. Tutti i lavoratori possono ambire a coprire questa carica, ma non quelli in prova, gli apprendisti e quelli che hanno stipulato con l’azienda un contratto a tempo determinato o di formazione professionale. Il datore di lavoro è obbligato a comunicare le generalità del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza sia all’INAIL, sia al resto dei dipendenti. La carica ha una durata di tre anni ed è rinnovabile. Nelle aziende con più di 15 dipendenti, il RLS è eletto dai lavoratori attraverso l’intermediazione delle rappresentanze sindacali aziendali. Nel caso in cui queste non fossero presenti, si procederà con l’elezione diretta. Il numero dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza varia in base al numero complessivo dei dipendenti di un’azienda: un solo rappresentate per aziende fino a 200 lavoratori; tre rappresentanti per aziende da 201 a 1000 lavoratori; sei rappresentanti per aziende con oltre mille lavoratori. In quest’ultimo caso il numero di RLS solitamente è stabilito attraverso accordi interconfederali, oppure nel corso della contrattazione collettiva. Il ruolo del RLS, come evidenziato, è fondamentale. Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza ha compiti specifici, tutti volti a favorire il dialogo tra l’azienda e i lavoratori su temi assai delicati. In sintesi, le attività che l’RLS è chiamato a svolgere durante il suo mandato sono: collaborare con il datore di lavoro per migliorare la qualità del lavoro in azienda; ascoltare i problemi sollevati dai dipendenti in materia di sicurezza sul posto di lavoro ed effettuare i dovuti controlli concernenti queste segnalazioni; partecipare a tutte le riunioni periodiche riguardanti la sicurezza dei lavoratori; controllare l’effettiva realizzazione degli interventi, obbligatori o concordati, necessari per la sicurezza del lavoro in azienda; avere un rapporto diretto con gli organi di controllo chiamati alla valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei dipendenti. Per svolgere questi compiti, il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza deve essere costantemente aggiornato sulle normative vigenti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. Il Testo Unico sulla sicurezza sul lavoro prevede che il RLS debba svolgere un apposito corso di 32 ore all’inizio della sua attività e successivi corsi di aggiornamento. Le spese per la formazione del datore di lavoro. Sulla elezione dei RLS sussistono alcuni aspetti poco chiari e cioè: L'art. 47 comma 4 dell' 81 ci dice che "nelle aziende o unità produttive con più di 15 lavoratori il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza è eletto o designato dai lavoratori nell'ambito delle rappresentanze sindacali in azienda. In assenza di tali rappresentanze, il rappresentante è eletto dai lavoratori della azienda al loro interno". Ora, ipotizzando che nell'azienda siano presenti le OO.SS. le due posizioni a confronto sono le seguenti: Posizione 1) I RLS vengono proposti dalle OO.SS. ma soltanto l'assemblea di tutti i lavoratori (iscritti e non iscritti alle diverse organizzazioni sindacali) può accettare o non accettare questi candidati. Posizione 2) Il RLS viene nominato dalla sigla sindacale. Su queste diverse posizioni ho chiesto il parere del SIRS di Bologna che ha provato a fare chiarezza. Sulla prima posizione così si è espresso: I RLS vengono proposti dalle OO.SS. ma soltanto l'assemblea di tutti i lavoratori (iscritti e non iscritti alle diverse organizzazioni sindacali) può accettare o non accettare questi candidati. Per essere più precisi: I candidati devono essere eletti da tutti i lavoratori e anche se proposti dai Sindacati aziendali alla votazione devono partecipare tutti i lavoratori (così come si fa per la RSU ove esiste.) Non esiste il RLS di sigla ma esso rappresenta tutti i lavoratori a prescindere dal sindacato cui sono iscritti o non iscritti. Il RLS eletto in qualsiasi sigla rappresenta tutti i lavoratori e non solo quelli afferenti alla sigla sindacale. Sulla seconda posizione invece: Il RLS viene nominato dalla sigla sindacale. Se le sigle sindacali dell'azienda decidono insieme di DESIGNARE un RLS, questi lo possono fare ma sarebbe meglio che fosse sottoscritto un accordo. Il tema relativo alla nomina, all’individuazione, all’istituzione, secondo quanto richiesto dall'art. 47 del D.Lgs. n. 81/2008, del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha impegnato non poco anche la Commissione Interpelli (prevista dall’art. 12 del D.Lgs. 81/2008 e istituita con Decreto Direttoriale del 28 settembre 2011)ed infatti: - Interpello n. 16/2014: come regolarsi per la nomina, revoca e durata in carica degli RLS in alcune particolari situazioni tra cui mandati scaduti, mancanza di contrattazione collettiva, ecc.. - Interpello n. 17/2014: sulla possibilità di istituire un RLS anche a livello dell’insieme di aziende facenti riferimento ad un gruppo e non esclusivamente alla singola azienda. - Interpello n. 20/2014: sulla possibilità per le aziende con più di 15 lavoratori di poter eleggere o meno degli RLS non facenti parte delle rappresentanze sindacali aziendali. - ulteriori precisazioni sull’Interpello n. 20/2014; - Interpello n. 11/2014: su come individuare il Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza secondo le previsioni del D.Lgs. n. 81/2008 negli ambiti del Dipartimento della Pubblica Sicurezza. - Interpello n. 16/2016 del 25 ottobre 2016: sull'obbligo della presenza del rappresentante dei lavoratori anche nelle società all’interno delle quali operino esclusivamente soci lavoratori.

NUOVA INTESA STATO REGIONI SULLE FIBRE ARTIFICIALI VETROSE (FAV)

La Conferenza Stato Regioni nella seduta di ieri, 10 Novembre 2016, ha approvato l'intesa sull'aggiornamento 2016 del documento " Le Fibre Artificiali Vetrose (FAV): Linee Guida per l'applicazione della normativa inerente ai rischi di esposizioni e le misure di prevenzione per la tutela della salute". clicca qui per visualizzare il documento ufficiale

lunedì 7 novembre 2016

La formazione sulla SSL è valida anche all'estero e viceversa?

Una interessante domanda postata su Linkedin pone la questione della validità della formazione sulla salute e sicurezza sul lavoro nei paesi stranieri e viceversa chiede se la formazione dei lavoratori stranieri è valida anche in Italia. Spesso ci troviamo ad ospitare lavoratori stranieri in tour e spesso gli stessi chiedono di usare le nostre PLE. Ecco le risposte che sono arrivate al quesito: Silvio Coxe: Con la direttiva Europea 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 Settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, la CE ha stabilito la libera circolazione dei lavoratori ed il riconoscimento degli attestati di formazione professionale, previa verifica della validità dei programmi attinenti la formazione da parte delle autorità preposte dallo Stato europeo ospitante. Questo concetto può essere trasposto nel campo della sicurezza sui luoghi di lavoro, pertanto i corsi sulla sicurezza sul lavoro, volti ad acquisire le qualifiche di responsabile e o di addetto al primo soccorso così come di addetto antincendio, devono considerarsi validi in tutto il territorio europeo, con la semplice avvertenza che lo Stato ospitante può richiedere verifiche e o adempimenti particolari “ad integrandum”, che però non inficiano la validità della qualifica stessa. I corsi sulla sicurezza sul lavoro, in quanto scaturiscono da una direttiva europea, sono validi in tutti gli Stati membri, pur dovendo rispondere alle regole vigenti nei vari paesi UE. Luca Giulianelli: Secondo l'ente IPAF, che ha creato un consorzio di enti di formazione all'estero ed in Italia, rilasciano un attestato che dicono valga in ambito europeo diverso da quello italiano, che affermano venga emesso in accompagno al loro attestato. Quello IPAF, per la cronaca, rimanda ad uno standard inglese per quanto riguarda ad esempio le piattaforme PLE (che ho visto personalmente). Norberto Ferigato: Silvio Coxe "Con la direttiva Europea 2005/36/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7 Settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali" ... La cosa non è così semplice! Gli attestati (come tutta la formazione formale, non formale e informal)e devono essere verificati da una Commissione (in Italia a livello Regionale) e quindi validati secondo percorsi espressi nei repertori. Solo a questo punto possono essere riconosciuti. Probabilmente occorrerà poi un lavoro di traduzione certificata. Inoltre l'Italia ha prorogato l'entrata in funzione al 2018. Ai fini della sicurezza del lavoro, tutto questo ha poco valore in quanto materia soggetta a normativa speciale e ogni Stato. Ritornando alla domanda iniziale, non ho avuto problemi fino ad oggi a far riconoscere la formazione svolta ai lavoratori (proponendo degli attestati tradotti in inglese o tedesco), sia in Germania che in Romania. Non ho mai operato con cantieri olandesi. Unico Stato in cui ad oggi ho dovuto far ripetere tutta la formazione (20h :-(( ) è stata la Spagna che ha una normativa simile alla nostra. Secondo l'ente IPAF". Si possono dire che le "card" IPAF sono mediamente riconosciute all'estero. Di recente però ho proposto attestati della formazione svolta secondo ASR del 22/02/2012, richiamando sia le Dir UE che le INDG163 (HSE) e BS 8460. Non ho avuto ad oggi problemi a far riconoscere tale formazione in UE ma anche in Canada o Australia. Comunque bravi quelli di IPAF a "inventarsi" un business. Alessandro Casartelli: ho un cliente che opera in francia, hanno verificato che il corso sia erogato in una lingua intesa dal lavoratore; rilasciato in italia e riconosciuto in francia. Luigi Trippa: Buongiorno a tutti, argomento molto interessante e già affrontato ... forse il nodo cruciale è la distinzione tra formazione di base e corsi addetti primo soccorso e antincendio oppure le abilitazioni all'uso di attrezzature (PLE, ponteggi, funi, macchine agricole... ecc)

Una dura proposta di legge contro i Medici Competenti

È stata presentata alla Camera, lo scorso 30 Settembre 2016, la proposta di legge C.4065 a firma dei deputati Ribaudo, Boccuzzi e altri (in totale 33 firmatari) di modifica dell’art. 39 del D.Lgs. 81/08, finalizzata a sottrarre ai datori di lavoro (e ai dirigenti) il compito di nominare il Medico Competente per affidarla all’Asl competente per territorio, cui i Medici Competenti così nominati risponderebbero. Secondo l'associazione dei Medici Competenti l’articolato in sé è in netto contrasto con la definizione di medico competente “che collabora con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed è nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto”. (art. 2 comma 1 lett. h) e con l’art. 18, C.1 lett. a), per il quale sono il Datore di Lavoro o il Dirigente che provvedono a “nominare il medico competente per l’effettuazione della sorveglianza sanitaria”. Sempre secondo l'Associazione l’impianto giuridico-legislativo italiano, a partire dall’art. 2087 del Codice Civile, passando per le produzione legislativa degli anni ’50 del XX° secolo, per arrivare alla legislazione di derivazione europea, a partire dalla Direttiva 89/391 per arrivare, nel nostro Paese, prima al D.Lgs. 626/94 e, poi poi al D.Lgs. 81/08, pone in capo al datore di lavoro l’obbligo primario di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, organizzando la prevenzione e la protezione dai rischi anche attraverso l’individuazione e la designazione di professionisti che con lui collaborano, a partire dal RSPP e dal Medico Competente. I firmatari della proposta, al contrario, intendono “liberare” i datori di lavoro da tale “fastidiosa” incombenza, scaricandola sulle spalle della pubblica amministrazione, cioè della collettività: un gigantesco passo indietro politico, culturale, sociale, scientifico, ed economico. Da queste parole si capisce subito che i firmatari troveranno schiarati contro i medici competenti e non solo. Personalmente penso che la proposta pone un tema importante che credo sia utile affrontare mettendo però al centro la salute dei lavoratori e delle lavoratrici. Voi cosa ne pensate?