martedì 10 marzo 2015

Cassazione Penale, Sez. 4, 23 febbraio 2015, n. 7960 - Infortunio mortale durante la sospensione dei lavori: responsabilità del coordinatore?

Presidente Brusco – Relatore Iannello Fatto 1. F.F. è stato tratto a giudizio avanti il Tribunale di Trapani per rispondere del reato p. e p. dagli artt. 113 e 589, comma 2, cod. pen. a lui ascritto per avere, in cooperazione con altri, nella qualità di coordinatore per la sicurezza e per l'esecuzione dei lavori edili da svolgere in (omissis), località (…), colposamente concorso a cagionare la morte dell'operaio P.S. . Era accaduto che quest'ultimo, dipendente della ditta B.V. incaricata delle opere di falegnameria, mentre stava procedendo, in data (omissis), alla posa in opera dei telai di una finestra al primo piano della villetta n. 40, ubicata nel lotto n. 7, dopo aver aperto le persiane, perdeva l'equilibrio e precipitava al suolo, da un'altezza superiore ai 3 m, riportando gravissime lesioni che ne cagionavano il decesso in data (omissis). La responsabilità dell'evento era ascritta al F. , oltre che a titolo di colpa generica, anche per colpa specifica consistita nella violazione delle previsioni di cui agli artt. 16 d.P.R. 7 gennaio 1956, n. 164; 21, comma 1, e 22, comma 1, d.lgs. 19 settembre 1994, n. 626; 5, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494. Si rimproverava in particolare al predetto di aver omesso di verificare, nella detta sua qualità, che la ditta B.V. , in relazione alla fase di posa dei controtelai alle finestre, applicasse le disposizioni contenute nel “-Piano informativo generale sulla sicurezza ed igiene sul lavoro” predisposto dallo stesso F. , nella parte in cui prevedeva la necessità di verificare, operando in prossimità del vuoto, preventivamente, l'esistenza di parapetti e protezioni, e di mantenere in opera ponti e sottoponti con regolari parapetti, nonché di aver omesso di verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza predisposto dalla ditta medesima e, comunque, (l'idoneità) delle misure approntate per eliminare il rischio di caduta dall'alto degli operai. Con sentenza del 28/6/2012 il Tribunale, riconosciuta la responsabilità del prevenuto, lo ha condannato alla pena, condizionalmente sospesa, di un anno di reclusione oltre che, in solido con gli altri due imputati e con il responsabile civile B.Costruzioni S.r.l., al pagamento della somma di Euro 34.363,36 in favore dell'Inail ed al risarcimento del danno non patrimoniale, da liquidarsi in separata sede, in favore dell'altra parte civile M.E. , in proprio e nella qualità di genitore esercente la potestà sulla figlia minore Po.Sa. , ed ancora al pagamento di una provvisionale, in favore della stessa, di Euro 100.000,00. Escluso che nella fattispecie potessero ravvisarsi profili di abnormità e di eccezionalità della condotta tenuta dalla vittima, tali da interrompere il nesso causale, ha rimarcato il primo giudice, tra l'altro, le gravi carenze del piano operativo di sicurezza predisposto dalla ditta B.V. , avvalorando il sospetto, esternato dagli ispettori del servizio di prevenzione, che lo stesso fosse in realtà ricopiato da analoghi documenti redatti per altre lavorazioni: deficienze progettuali e programmatiche tradottesi in disfunzioni e carenze organizzative e di efficienza delle procedure per la prevenzione degli infortuni. Ciò posto, con specifico riferimento alla posizione del F. , il Tribunale, pur riconoscendo che lo stesso aveva assolto in modo ineccepibile ai suoi compiti nella fase progettuale, e pur sottolineando la sua assidua presenza in cantiere per seguire l'andamento dei lavori, ha stigmatizzato il fatto che egli non avesse adottato i provvedimenti del caso circa la prassi lavorativa instauratasi, del tutto inosservante dei più elementari standard di sicurezza e persino in contrasto con le disposizioni contenute nel “pur pregevole documento programmatico redatto dallo stesso”. Secondo il Tribunale, inoltre, il F. avrebbe dovuto rilevare le carenze e le lacune riscontrabili già nel documento di sicurezza elaborato dai responsabili della ditta, al fine di sollecitarne l'adeguamento, e segnalare comunque tale situazione alla committente. 2. Pronunciando sui contrapposti appelli dell'imputato, del responsabile civile e delle parti civili, la Corte d'Appello di Palermo, con la sentenza in epigrafe, confermate le statuizioni penali, ha riformato la decisione gravata con riferimento a quelle civili, condannando il F. e la società responsabile civile al pagamento, in solido tra di essi e con gli altri imputati, dell'ulteriore somma di Euro 288.034,34 in favore dell'Inail. Ribadita l'impossibilità di configurare nella specie un comportamento abnorme e imprevedibile della stessa vittima, ha rilevato la Corte che le emergenze processuali conducono piuttosto a ritenere che il P. , recatosi sul posto alle 9 del mattino con l'incarico di incontrare il geom. F. e provvedere con lo stesso alla sostituzione di un'anta di una porta finestra di una villetta già consegnata, facente parte del lotto n. 8, non essendosi quello presentato all'appuntamento, ricevette per telefono l'incarico dal proprio datore di lavoro, per ottimizzare i tempi, di recarsi nella villetta n. 40 del lotto n. 7 per iniziare a lavorare sugli infissi che dovevano ancora essere collocati. Ciò, però, in assenza dei necessari presidi di sicurezza, la cui carenza era già riscontrabile secondo la Corte nel piano operativo di sicurezza, in ordine al quale essa ha pertanto confermato la valutazione del primo giudice di superficialità e illogicità espositiva, evidenziando che la previsione di ponteggi fissi e mobili era semplicemente enunciata nella parte dedicata alla “descrizione sommaria dei lavori”, per essere poi ripresa in termini del tutto generici, con riferimento a qualsiasi attività lavorativa che implicasse di operare ad una certa altezza dal suolo, ma senza puntuale riferimento alle singole lavorazioni programmate. Con riguardo alla posizione del F. i giudici palermitani hanno quindi rilevato che la sua colpevolezza era stata correttamente riconosciuta sotto un duplice profilo. Anzitutto per non aver segnalato l'inadeguatezza del P.O.S. redatto dalla ditta B. , con tutte le disfunzioni e carenze organizzative che ne sono conseguite sul piano della prevenzione degli infortuni: tale omissione, secondo la Corte, aveva contribuito non poco a causare l'evento. In secondo luogo e soprattutto perché, nella qualità di coordinatore per la sicurezza nella fase di esecuzione dei lavori, egli ha omesso di segnalare, stigmatizzandola, la prassi adottata nel cantiere in ordine al montaggio degli infissi, connotata dalla carenza di qualsiasi presidio di sicurezza: condizioni queste - nota la Corte – “abitualmente ricorrenti ancor prima dell'infortunio occorso al P. ” e, dunque, perfettamente rilevabili dal Fe. che, assiduamente presente sui luoghi per seguire l'andamento dei lavori, avrebbe potuto e dovuto attivare i suoi poteri di intervento, limitatisi invece a una circolare emessa in data 8/2/2005, più di un anno prima dell'incidente, con la quale si richiamava al rispetto degli obblighi di cui all'art. 7 d.lgs. n. 494/1996 nei lavori di fornitura e montaggio degli infissi esterni, evidentemente rimasta senza alcun riscontro. 3. Avverso tale sentenza propongono ricorso l'imputato e la B.Costruzioni S.r.l., responsabile civile, per mezzo dei rispettivi difensori. F.F. articola a fondamento del proprio ricorso sei motivi. 3.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta inadeguatezza del piano operativo di sicurezza predisposto dalla ditta B.V. e, correlativamente, alla divisata responsabilità di esso ricorrente per aver omesso di adottare al riguardo i provvedimenti di competenza. Sostiene che tale valutazione, lungi dall'essere rapportata al precetto normativo di cui all'art. 4, comma 2, d.lgs. n. 626/1994, è basata su un apprezzamento del tutto soggettivo non sorretto da adeguato apparato argomentativo. Riportando ampi stralci della sentenza di primo grado (pagine 84 - 86) e di quella d'appello, conforme sul punto (pagg. 11 - 12), lamenta in sintesi che, in modo illogico e contraddittorio e, comunque, in violazione del reale contenuto precettivo della norma di riferimento, il fondamento del giudizio di inadeguatezza del piano, in esse espresso, è fatto risiedere non nella mancata previsione in sé dei rischi di caduta da altezze superiori ai due metri, bensì nella asserita inadeguatezza della “tecnica redazionale”, per il mancato diretto collegamento tra le parti del piano descrittive delle fasi di lavorazione e quelle descrittive delle possibili tipologie di rischio e delle conseguenti misure protettive, oltre che nella previsione all'interno dello stesso documento di altre tipologie di rischio non conferenti rispetto alle lavorazioni programmate. Il detto giudizio di inadeguatezza è quindi rapportato, sottolinea il ricorrente, a un presunto “spirito” delle disposizioni normative di riferimento, senza il benché minimo accenno alle prescrizioni normative che sarebbero state nella specie violate. 3.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza, in capo ad esso ricorrente, del potere-dovere di attivarsi per impedire l'evento. Rileva al riguardo, anzitutto, che le sentenze di merito non spiegano cosa proverebbe che, già anteriormente all'infortunio mortale, lavorazioni analoghe o identiche fossero avvenute con modalità non conformi alle più elementari regole di sicurezza e, in particolare, cosa dimostrerebbe che tra l'8/2/2005 (data della circolare con la quale esso ricorrente aveva sollecitato la ditta B. al rispetto degli obblighi di cui all'art. 7 d.lgs. n. 494/1996) e l'(OMISSIS) (data dell'infortunio mortale) le lavorazioni di montaggio degli infissi interni, fino a quel momento eseguite, fossero state effettuate senza l'impiego dei ponteggi esterni, né di altri presidi di sicurezza. Né è spiegato, deduce ancora il ricorrente, cosa consentirebbe di ritenere, nonostante le indicazioni desumibili dalle deposizioni dei testi Ma. e G. , pure riportate nella sentenza di primo grado (e per ampi stralci trascritte in ricorso), che egli fosse a conoscenza delle lavorazioni che, in seguito ad un periodo di sospensione dei lavori da parte della ditta B. , il P. avrebbe dovuto eseguire e con quali modalità. Rimarca al riguardo che il tragico episodio si è verificato in un momento in cui la ditta B. , pur dovendo ancora completare alcuni montaggi di infissi interni, aveva sospeso i lavori, tanto che l'area di cantiere era temporaneamente chiusa, delimitata e messa in sicurezza, e non vi era una specifica programmazione circa i tempi in cui gli stessi sarebbero stati ripresi. Rileva quindi, in proposito, che quand'anche possa ritenersi che il P. avesse ricevuto quella mattina l'incarico di recarsi presso il cantiere e successivamente anche quello di provvedere al montaggio di infissi interni nella palazzina n. 40, ciò non sarebbe sufficiente a provare che egli ne fosse informato. 3.3. Con il terzo motivo deduce ancora violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza di un nesso causale tra la condotta omissiva ascritta ad esso ricorrente e l'evento. In ragione delle medesime considerazioni sopra esposte, rileva in sintesi il ricorrente che, non essendovi prova che egli conoscesse l'ordine estemporaneo e non certo prevedibile, presuntivamente dato dal B. al proprio dipendente la mattina del tragico incidente, quando i lavori non erano in esecuzione, ciò dovrebbe apprezzarsi quale circostanza idonea a interrompere il nesso causale. Soggiunge che immotivatamente la Corte d'appello ha ritenuto falsa la ricostruzione dell'accaduto resa dal coimputato B.R. , secondo il quale il lavoratore assunse nell'occasione una iniziativa autonoma, assolutamente abnorme ed eccezionale, essendo destinato a tutt'altro incarico e che, comunque, illogicamente, ha ritenuto tale ricostruzione non veritiera nella sola parte riguardante l'incarico dato al P. e non anche in quella relativa al presunto appuntamento con esso ricorrente. 3.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione e violazione di legge in relazione alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato. Iterando censura già svolta con l'atto d'appello, di cui lamenta l'omessa considerazione, rileva il ricorrente che, in ragione dei medesimi rilievi già sopra esposti per altri profili, la diligenza pure riconosciuta in relazione alla fase progettuale e alla assidua presenza in cantiere e, sotto altro profilo, la consapevolezza da parte di esso ricorrente che non vi fossero in quella data lavori da sovraintendere, né opere da seguire presso il lotto n. 7, avrebbero dovuto indurre a ritenerlo esente da ogni colpa, in quanto non messo in condizione di accorgersi dell'omessa adozione delle misure precauzionali e, dunque, di intervenire. 3.5. Con il quinto motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione per avere i giudici di merito pronunciato condanna senza rispettare il limite del “ragionevole dubbio” dettato dall'art. 533 cod. proc. pen.. 3.6. Con il sesto motivo, infine, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al giudizio di equivalenza tra le concesse circostanze attenuanti generiche e la contestata aggravante. Lamenta che tale giudizio è motivato dalla ritenuta esistenza di una “prassi operativa consolidata”, che in realtà non è supportata, nell'apparato argomentativo, da elementi idonei a giustificarla. 4. La B.Costruzioni S.r.l., responsabile civile, pone a fondamento del proprio ricorso due motivi. 4.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all'affermata responsabilità di essa ricorrente per il reato contestato all'imputato, in difetto di un apprezzabile nesso di causalità tra la condotta a questo attribuita e l'evento verificatosi. Sostiene che la ricostruzione posta a fondamento del giudizio di responsabilità è sganciata dalla realtà, atteso che, fino a quello stato di avanzamento dei lavori, gli infissi erano stati collocati in presenza di ponteggi fissi attorno ai fabbricati e, pertanto, in condizioni di totale sicurezza. Deduce, altresì, che, illogicamente, la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente in capo all'imputato una posizione di garanzia rilevante nella fattispecie e ha, altresì, omesso di considerare comunque l'efficacia interruttiva del nesso causale attribuibile alla condotta del coimputato B. , avendo questi dato al proprio lavoratore un incarico non programmato e non conoscibile da parte dell'imputato. 4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce in subordine violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al denegato riconoscimento dell'attenuante di cui all'art. 114 cod. pen.. Sostiene che, in ragione dei medesimi rilievi sopra esposti, il giudice a quo avrebbe dovuto riconoscere almeno maggiore efficienza causale alla condotta dei responsabili della ditta B. e, pertanto, ridurre proporzionalmente le conseguenze sanzionatorie, anche di carattere civile. 5. In data 29/1/2015 l'Inail, parte civile costituita nel presente procedimento, ha depositato memoria con la quale, sulla scorta di argomentazioni tese a evidenziare la natura meramente valutativa e di merito delle censure proposte dal ricorrente, ha chiesto il rigetto del ricorso con le conseguenti statuizioni. Diritto 6. I ricorsi sono fondati e meritano accoglimento. La Corte d'appello omette di prendere in considerazione la doglianza secondo cui al momento dell'incidente i lavori nel lotto in questione risultavano sospesi dalla ditta e non ne era programmata una ripresa, tanto meno nel giorno dell'incidente. La circostanza appare di rilievo centrale, posto che, se davvero fosse così (ma nulla di diverso risulta affermato in sentenza), non è ipotizzabile un obbligo di controllo e vigilanza concretamente attivato in capo al coordinatore per la sicurezza. Giova rammentare che tale figura è stata introdotta per la prima volta dal d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494 (di attuazione della direttiva 92/57/CEE) - nell'ambito di una generale e più articolata ridefinizione delle posizioni di garanzia e delle connesse sfere di responsabilità correlate alle prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili - a fianco di quella del committente, allo scopo di consentire a quest'ultimo di delegare, a soggetti qualificati, funzioni e responsabilità di progettazione e coordinamento, altrimenti su di lui ricadenti, implicanti particolari competenze tecniche. La definizione dei relativi compiti e della connesse sfere di responsabilità discende, pertanto, da un lato, dalla funzione di generale, alta vigilanza che la legge demanda allo stesso committente, dall'altro dallo specifico elenco contenuto nell'art. 5 d.lgs. n. 494/96 [a mente del quale egli è tenuto in particolare a: “a) verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l'applicazione, da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento... e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro; b) verificare l'idoneità del piano operativo di sicurezza,... e adeguare il piano di sicurezza e coordinamento e il fascicolo di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), in relazione all'evoluzione dei lavori ed alle eventuali modifiche intervenute, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, nonché verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza; c) organizzare tra i datori di lavoro, ivi compresi i lavoratori autonomi, la cooperazione ed il coordinamento delle attività nonché la loro reciproca informazione; d) verificare l'attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere; e) segnalare al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi interessati, le inosservanze alle disposizioni degli articoli 7, 8 e 9, e alle prescrizioni del piano di cui all'articolo 12 e proporre la sospensione dei lavori, l'allontanamento delle imprese o dei lavoratori autonomi dal cantiere, o la risoluzione del contratto...; f) sospendere in caso di pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato, le singole lavorazioni fino alla verifica degli avvenuti adeguamenti effettuati dalle imprese interessate”]. Tale disciplina conferma che la funzione di vigilanza è alta e non si confonde con quella operativa demandata ai datore di lavoro ed alla figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente ed il preposto. Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazioni dei loro doveri tipici, e di quelle afferenti all'inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento; indi segnalazione al committente delle irregolarità riscontrate. Solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita la immediata sospensione dei lavori. Appare dunque chiara la marcata diversità di ruolo rispetto al datore di lavoro delle imprese esecutrici: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e non la puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto)(v. in tal senso, Sez. 4, n. 18149 del 21/04/2010, Cellie, Rv. 247536; v. anche in motivazione Sez. 4, n. 1490 del 20/11/2009, dep. 2010, Fumagalli e altri; cfr. anche Sez. n. 4, n. 7443 del 17/01/2013, Palmisano, Rv. 255102, che ha nella medesima direzione precisato che “le figure del coordinatore per la progettazione ex art. 4 D.Lgs. n. 494 del 1996 e del coordinatore per l'esecuzione dei lavori, ex art. 5 stesso D.Lgs., non si sovrappongono a quelle degli altri soggetti responsabili nel campo della sicurezza, ma ad esse si affiancano per realizzare, attraverso la valorizzazione di una figura unitaria con compiti di coordinamento e controllo, la massima garanzia dell'incolumità dei lavoratori”). Si tratta, inoltre, di un compito di vigilanza che presuppone che il programma di lavori sia in fase di esecuzione o comunque prossimo all'avvio: non si spiegherebbe altrimenti il riferimento alla verifica, evidentemente sul campo, della corretta applicazione delle procedure di lavori, dell'idoneità del P.O.S. e al necessario adeguamento del piano di sicurezza e cooordinamento alla “evoluzione dei lavori”. Tali obblighi, invero, presuppongono l'avvio o comunque una programmazione dei lavori tale da rendere attuale, da un lato, l'obbligo per le imprese di adempiere agli obblighi prevenzionistici loro imposti e, dall'altro, quello del coordinatore per la sicurezza di controllare il corretto e funzionale adempimento di tali obblighi, in relazione alle previsione del piano; per contro una verifica in una situazione di sospensione indeterminata dei lavori non avrebbe significato, né riconoscibile scopo pratico. Per converso, una estemporanea e non programmata ripresa dei lavori si pone essa stessa quale evenienza non prevedibile da parte del coordinatore per la sicurezza, certamente non tenuto a una vigilanza di cantiere e tale comunque da non poter essere dallo stesso impedita o prevenuta, in mancanza di poteri impeditivi o coercitivi specifici, diversi da quelli predetti di mera segnalazione formale delle inadempienze. 7. Nella specie, se è vero che i lavori erano sospesi, non può dunque ipotizzarsi alcun obbligo, attuale e concreto, di vigilanza la cui inosservanza possa giustificare la riconduzione causale dell'evento all'imputato. Si rivela pertanto dirimente in tal senso la mancanza in sentenza di un accertamento idoneo a smentire l'affermazione secondo cui l'intenzione di riprendere i lavori di collocazione degli infissi in legno nelle villette del lotto n. 7 non era stata comunicata preventivamente all'odierno ricorrente e tale ripresa piuttosto si pose quale frutto di una estemporanea iniziativa del datore di lavoro. È evidente l'importanza di tale circostanza nella ricostruzione del fatto e nella valutazione dell'ipotizzata responsabilità e per converso il vizio di carenza motivazionale cui si espone la sentenza impugnata per avere omesso di attentamente valutarne la sussistenza alla stregua delle emergenze in atti. Né può considerarsi adeguata e pertinente, rispetto alla segnalata esigenza motivazionale, l'affermazione, basata in sentenza sulle dichiarazioni del coimputato B.R. , che la mattina dell'incidente il P. avesse proprio l'incarico di incontrarsi con l'odierno ricorrente per recarsi presso altra villetta, già consegnata all'acquirente e ivi sostituire l'anta di una porta finestra. Anche a ritenere superabili le contestazioni svolte dal ricorrente circa la coerenza del ragionamento probatorio della Corte (che ritiene attendibile solo tale parte della dichiarazione del coimputato), rimane il fatto che comunque tale circostanza non esclude che il F. - in realtà, secondo quanto incontestato in causa, non recatosi a quell'appuntamento - nulla sapesse dell'intenzione da parte del B. di riprendere i lavori anche nel lotto n. 7. 8. Le carenze motivazionali sul punto privano, in definitiva, il discorso giustificativo di un tassello fondamentale, con riferimento a tutte le prospettazioni accusatorie, ed impongono l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata, anche nei confronti della società responsabile civile, rimanendo pertanto assorbito l'esame dei restanti motivi di impugnazione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Palermo per nuovo esame.

domenica 8 marzo 2015

8 MARZO

Ci sono molte leggende e racconti che circolano in merito all'8 Marzo... La cosa certa è che si ricorda in questa data la morte di più di un centinaio di donne, avvenuta in un incendio in una fabbrica di New York. Le operaie rimasero misteriosamente intrappolate nella fabbrica e perirono, proprio il giorno 8 Marzo 1908. Nessuno pagò per quella vicenda pur essendo stato accusato di omicidio proprio il padrone, stanco delle lamentele e degli scioperi delle operaie stufe di maltrattamenti e magrissimi salari. Si dice che esattamente l'8 Marzo di un anno dopo sopra le macerie della fabbrica fiorì un bellissimo albero di Mimosa.

mercoledì 4 marzo 2015

Ingegneri al conservatorio per studiare i muscoli dei musicisti: in Italia la prima ricerca al mondo

Pubblichiamo di seguito un articolo a cura di Valentana Frezzato apparso sul quotidiano "La Stampa" di Torino risalente al 28 febbraio 2015. L’esame condotto dai tecnici dell’università di Torino su allievi del Vivaldi di Alessandria analizza la risposta di alcuni elettrodi applicati sul corpo di violinisti, violoncellisti e violisti. Questi elettrodi riproducono sul monitor del computer dei colori corrispondenti agli sforzi muscolari istante per istante. Il direttore del Conservatorio, Angela Colombo, controlla il comportamento dei pianisti alla tastiera da decenni: «Dico sempre ai miei studenti: ricordatevi di respirare». Ed è stato felice di ascoltare, ieri mattina, i risultati delle ricerche condotte dagli studiosi del Laboratorio di ingegneria del sistema neuromuscolare del Politecnico di Torino, coordinati da Roberto Merletti. Che per adesso si sono occupati di violinisti, violoncellisti e violisti, «perché - spiegano - sappiamo che i musicisti che suonano strumenti ad arco hanno bisogno di periodi di pausa e di fare esercizi compensatori per far rilassare i muscoli di schiena, collo, braccia». Muscoli che sforzano continuamente durante l’esecuzione dei brani e tantissimo durante quelli più impegnativi (viene in mente «Il volo del calabrone» di Nikolaj Rimskij-Korsakov): «Chi suona uno strumento musicale a livello professionale svolge una attività fisica molto simile a quella di uno sportivo o di un operaio che lavora ad una linea di montaggio e soffre di patologie neuromuscolari non molto diverse» spiega Merletti. Movimenti rapidi e precisi, eseguiti in posture non sempre ottimali, ripetuti per ore al giorno, causano inevitabilmente fatica e dolori «e se ignorati - continua - possono costringere il musicista a interrompere la professione». All’avanguardia Gli ingegneri del laboratorio torinese sono i primi al mondo a studiare così da vicino i musicisti: sono stati al «Vivaldi» di Alessandria e hanno applicato degli speciali elettrodi sul corpo dei violinisti, allievi di Marcello Bianchi. La novità è che, mentre suonavano, potevano vedere in tempo reale come si comportavano i loro muscoli, grazie allo schermo di un computer: in blu venivano segnalati i movimenti che richiedevano poca attività muscolare, in rosso quelli che ne richiedono di più. «I nostri muscoli producono segnali elettrici detti elettromiogramma, come l’elettrocardiogramma dal cuore, prelevabili sulla cute tramite griglie di elettrodi applicati come un cerotto» spiegano i ricercatori, che hanno poi utilizzano una «retina elettrica» che vede i segnali e li trasforma nei colori che rappresentano lo sforzo muscolare in ogni istante. Questa «mappa» consente di correggere posture o contrazioni sbagliate in tempo reale. Poi toccherà ai pianisti «In futuro - aggiunge Merletti - lavoreremo con pianisti, contrabbassisti e cantanti. Grazie al Progetto Lagrande della Fondazione Crt abbiamo ottenuto borse si studio per il secondo anno di ricerche. È stata fondamentale la disponibilità del “Vivaldi”, che ci ha consentito di avere un buon numero di musicisti da “studiare”».

Inchiesta sulle condizioni lavorative di facchini e tecnici dello spettacolo

Pubblichiamo di seguito un'inchiesta, svolta dal quotidiano on-line "redattore sociale", risalente all' 8 febbraio 2014, in cui si mette in luce il lavoro dei facchini e dei tecnici addetti all'allestimento degli spettacoli musicali. Abbarbicati su grandiose strutture in ferro che possono innalzarsi fino a 30 metri d'altezza o trasportano valigioni con centinaia di chili di materiale. Sopportano turni di servizio massacranti, che arrivano a toccare le 14 ore consecutive. Percorrono centinaia di chilometri al giorno e presto imparano a dormire quando capita, dove capita e se ce n'è il tempo. E quando le luci sul palco danno il via al boato del pubblico, loro già attendono, stremati, che tutto finisca per ricominciare a far guizzare muscoli e ingegno. Benvenuti nel mondo dei lavoratori dello spettacolo. Un universo multiforme e scarsamente conosciuto, popolato da tecnici altamente specializzati come da facchini sottopagati, che sbarcano il lunario in attesa di una migliore occupazione. E che per anni si sono mossi in una zona grigia fatta di norme di sicurezza vaghe e rispettate a fasi alterne, lavoro nero e scarsa rappresentanza sindacale. C'è voluta una serie di incidenti mortali, tra il 2011 e il 2013, per accendere i riflettori sulla questione: da allora, tra blitz della Finanza e controlli serrati dell'Ispettorato al lavoro, qualcosa ha iniziato a muoversi. Ma non ovunque e non abbastanza in fretta, a quanto pare; visto che l'ultimo infortunio risale alla scorsa settimana, quando a Firenze un facchino è stato travolto dalla pila di casse acustiche che stava trasportando su un muletto. Appena qualche giorno prima, a Milano, nove operai romeni avevano annunciato un'azione legale contro la Company service international, società che li aveva assunti per lavorare ai concerti di Bruce Springsteen, Lady Gaga, Shakira e Vasco Rossi. E che li avrebbe pagati 4 euro l'ora, invece delle 7,5 pattuite su un contratto che due di loro affermano di non aver neanche firmato, lavorando di fatto in nero. "A questo proposito - spiega Enrico Massaro, delegato Slc-Cgil, il principale sindacato dei lavoratori dello spettacolo - va fatta una distinzione tra tecnici specializzati e facchini. Con i primi oggi non si può più sgarrare: i controlli sono frequenti e il lavoro nero è molto raro, specialmente in eventi di grandi dimensioni o che abbiano un risvolto mediatico. Attualmente sono in pochi ad agire ancora in questo modo, ed è gente che si occupa principalmente di piccoli eventi". La situazione, però, cambia radicalmente quando si parla facchini: "Su queste figure - continua Massaro - c'è una corsa al ribasso e allo sfruttamento che è davvero oscena. Stiamo parlando di operai che nel 2014 sono fuori da qualsiasi logica di rappresentanza o di contrattazione collettiva. Ben vengano, quindi, le cause legali come quella di Milano". Proprio il divario tra tecnici e facchini rende difficile fare una stima complessiva di quanti siano in Italia i lavoratori dello spettacolo: secondo Massaro, i primi sarebbero circa 30mila, “mentre è quasi impossibile quantificare i secondi”. Anche i tecnici, comunque, sembrano avere i loro grattacapi: il tasto dolente, per loro, sembra sia soprattutto la sicurezza, come l'Italia ebbe a scoprire tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012. "Questo lavoro ho iniziato a farlo sei anni fa - spiega Michele, 35 anni e una qualifica da rigger (il cui lavoro consiste nel montare e trasportare le parti superiori del palco, appeso a un'imbracatura) -e, soprattutto all'inizio, ne ho viste di tutti i colori. Ho iniziato nel sud Italia, dove l'improvvisazione, il lavoro nero e l'assenza di regole erano all'ordine del giorno. Parlo di gente che svolgeva mansioni pericolose e specialistiche senza possedere brevetti o abilitazioni; di misure di sicurezza inesistenti o applicate con leggerezza, spesso per una paga da fame. Dopo un paio d'anni mi sono trasferito al nord, e qui le cose erano già molto diverse: il lavoro nero era quasi inesistente ed è stata proprio la cooperativa che mi ha assunto a obbligarmi a prendere il brevetto per i lavori in quota. Dopo gli incidenti, poi, le cose sono cambiate ulteriormente. Oggi, negli spettacoli di grandi dimensioni, i controlli scattano quasi in automatico. Gli ispettori ci chiedono addirittura di mostrargli i numeri di matricola delle attrezzature di sicurezza, come scarponi, caschi e imbragature, per verificarne il ciclo di vita". Più sicurezza, dunque, ma non abbastanza: perché di musica c'è chi continua a morire. Il primo incidente a destare lo sdegno nazionale fu quello in cui perse la vita Francesco Pinna, triestino travolto, con altri sette operai, dalla struttura che di lì a qualche ora avrebbe dovuto ospitare il concerto di Jovanotti. Il 5 marzo del 2012, poi, un altro crollo si è portato via Matteo Armellini, tecnico calabrese rimasto ucciso mentre lavorava alla data reggina di Laura Pausini. Un copione che, a dispetto di controlli ormai più frequenti e rigorosi, si è riproposto nel giugno scorso, quando Khaled Farouk Abdel Hamid, facchino 35enne di origine egiziana, è morto nel crollo del palcoscenico che aveva appena ospitato il concerto milanese dei Kiss. Dopo il quale, la comunità dei lavoratori dello spettacolo è insorta, cercando di unirsi per far pressione sul ministero del Lavoro. (ams)